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In Cina si distruggono croci e si indottrinano bambini
NEWS 1 Maggio 2019    di Giuliano Guzzo

In Cina si distruggono croci e si indottrinano bambini

La guerra alla religione, in particolare al cristianesimo, non conosce sosta. Lo abbiamo visto a Pasqua in Sri Lanka, con gli attentati islamisti che hanno fatto centinaia di morti, e lo vediamo in questi giorni in Cina, in particolare nell’Henan, dove i cristiani sono appena il 4% e dove la repressione e la «sinicizzazione» della Chiesa cattolica procede a tappe forzate. Basti dire che appena tre giorni fa le autorità locali di Weihui, nella diocesi di Anyang, hanno proceduto direttamente con la distruzione delle croci di ferro che svettavano, enormi, su due campanili. Una scena raggelante e ripresa con dei video nei quali si possono vedere, appunto, alte gru che trasportano una delle croci; questo mentre plotoni di poliziotti, sul sagrato, vigilano attenti sull’operazione allo scopo d’evitare, e prevenire, azioni di disturbo.

Per quanto terribile – anche sotto il profilo simbolico – tutto ciò non rappresenta affatto una novità se si pensa che la campagna di eliminazione di decorazioni religiose, dipinti, statue e croci in favore della «sinicizzazione», ossia dell’emersione di un cristianesimo «secondo le caratteristiche cinesi», è in corso da anni, soprattutto in Henan. E non è neppure la sola forma di ostilità alla fede. I bene informati, infatti, fanno presente come ultimamente il PCC – acronimo che sta per Partito Comunista Cinese – abbia intensificato la propria opera di lotta a qualsivoglia credo religioso.

In particolare, le autorità si starebbero dando da fare dipingendo le religioni come pericolose, e la loro soppressione come qualcosa di utile per il bene comune, anzi vitale per il benessere della società. Il tutto condito con sistematico lavaggio del cervello che ormai inizia sin dalla tenera età, con la diretta complicità e collaborazione delle istituzioni scolastiche.

Un caso emblematico si è avuto qualche giorno addietro nella città di Shangqiu, sempre nella provincia dell’Henan, dove in una scuola elementare sono stati radunati tutti – studenti e insegnanti – per sottoscrivere un surreale impegno congiunto con la promessa di «non entrare in luoghi religiosi». Un caso isolato? Nient’affatto.

Dal 22 marzo al 4 aprile, nella provincia in parola, in almeno 26 scuole è stato effettuato un esperimento simile, facendo firmare ai genitori degli studenti un solenne impegno finalizzato a tener lontani i loro figli da luoghi religiosi e a crescerli senza trasmettere loro alcuna credenza soprannaturale. Un impegno, conoscendo che aria tira in Cina, la cui trasgressione deve costare cara.

Ad ogni modo, l’impegno solenne a rifiutare la religione non è l’unica via adottata dal regime cinese per propagare l’ateismo sul piano didattico. Lo dimostra quanto accaduto in una scuola elementare nella provincia sudorientale, nel Jiangxi, dove il 19 marzo scorso il preside ha organizzato per i suoi studenti una marcia condita di slogan quali «resistere alla superstizione» o «credi nella scienza». Vero e proprio indottrinamento, dunque. E fa abbastanza specie che sui media, quando si parla della Cina, ci si soffermi solo sulla statura economica del gigante asiatico, mettendo sistematicamente in secondo piano sia l’esistenza dei laogai, gli infernali campi di lavoro che ricordano da vicino i gulag sovietici, sia una persecuzione antireligiosa anch’essa prossima, per ostinazione e pianificazione, a quella della Russia che fu. E francamente meraviglia pure che, dopo il crollo dell’Urss, i dirigenti comunisti seguitino a perseguitare la fede, dimostrando di non aver ancora imparato una lezione che la storia ha già fatto emergere con chiarezza.


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