Le fantasiose titolazioni di taluni giornali di questi ultimi giorni, a proposito del libro postumo del defunto papa emerito Benedetto XVI, danno il senso non solo della fretta che spesso abita le redazioni, ma soprattutto della leggerezza e talora dell’ignoranza con cui vengono trattate le cose di Chiesa.
«Il libro postumo parla di club omosessuali presenti nei seminari di formazione sacerdotale», il titolo di Ansa-Latina. In apertura del quotidiano Libero di domenica 22 gennaio, si leggeva «Le accuse postume di Ratzinger a Bergoglio» e il sommario: «L’ultimo libro di Benedetto denuncia la chiesa di Francesco e i “club” omosessuali nei seminari». Ancora: il Quotidiano.net ha titolato «Vaticano, guerra dei libri. “Porno e club gay nei seminari”. L’ultima accusa di Ratzinger». E via titolando.
Peccato che la questione dei presunti «club omosessuali» nei seminari è una cosa vecchia di almeno 3 anni, perché contenuta nei famosi Appunti che il papa emerito ha scritto sulla questione abusi nella chiesa nell’aprile 2019 e pubblicati, fra l’altro, sul Corriere della sera. E non era di certo un accusa a Francesco, semmai una sottolineatura diversa sulle origini di un drammatico fenomeno; inoltre non è vero, come ha scritto qualcuno, che allora la cosa fosse passata sotto traccia, tutt’altro, se ne era scritto e tanto. Come si era scritto e tanto di quasi tutto quello che i libri di questi giorni, compreso quelli di monsignor Georg Ganswein (Niente altro che la verità, Piemme) e del cardinale Gerahrd Muller con la giornalista Franca Giansoldati (In buona fede, Solferino), hanno «rivelato». Semmai questi libri hanno il merito di aver sistematizzato tante questioni e di aver dato una veste più ufficiale al tutto.
Dal doppio sinodo sulla famiglia del 2014 e 2015, fino alle polemiche del sinodo sull’Amazzonia, sulla liturgia, sulle nomine dei vescovi, sulla rivoluzione all’Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia, sul «cerchio magico» intorno a Francesco, etc., etc., su tutto questo sono stati versati fiumi di inchiostro, per mostrare semplicemente che la Chiesa ha al suo interno una profonda faglia tellurica. È una questione banale, di cronaca in fondo. Una divisione non immediatamente riducibile ai partiti “ratzingeriani” e “bergogliani”, che, invece, sono solo un modo comodo per non guardare più a fondo.
La notizia vera, insomma, è che nel testo postumo di Benedetto XVI edito da Mondadori e curato dal bravo Elio Guerriero, «quasi un testamento spirituale», di inedito non c’è quasi nulla. Se per quasi nulla possiamo considerare l’enormità di quello che abbiamo rilevato proprio qui sul Timone, vale a dire un inedito terminato dal Papa emerito il 19 marzo 2022, uno scritto che probabilmente possiamo considerare l’ultimo testo vergato di suo pugno.
Ma anche qui, ad essere onesti, Ratzinger ripete quello che più e più volte ha scritto nella sua Opera, tanto decantata quanto snobbata, specialmente in questi passaggi, eppure suona, a parere di chi scrive, come il chiodo fondamentale su cui attaccare la vera eredità di papa Benedetto XVI. «L’intera contesa della storia delle religioni tra Dio e gli dei non termine con il fatto che Dio stesso alla fine svanisca come un feticcio», scrive Benedetto XVI nell’inedito, «termina invece con la vittoria dell’unico vero Dio sugli dei che non sono Dio».
C’è materia per qualche titolo anche qui, per esempio: «Dio è cattolico. Il vero testamento di Benedetto XVI». A qualcuno potrà sembrare una forzatura, ma lo è molto meno di quei titoli che in questi giorni abbiamo letto qua e là sul libro postumo di Ratzinger-Benedetto XVI.
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