Non c’è che un male radicale, terreno di coltivazione e sviluppo di altri mali, nella vita dell’uomo: la dimenticanza di Dio. Per questo San Benedetto, nella sua Regola, pone a fondamento del primo gradino della scala dell’umiltà, quella scala che conduce a Dio, l’aver sempre davanti agli occhi del cuore la presenza di Dio: «Il primo gradino dell’umiltà consiste nell’avere costantemente presente il timore di Dio, nel non dimenticarlo in alcun modo» (RB 7, 10). Nell’originale latino troviamo la forte espressione oblivionem omnino fugiat, rifugga in ogni modo la dimenticanza di Dio, considerandola la più grande sciagura che possa capitare all’uomo.
Non c’è che un male radicale, terreno di coltivazione e sviluppo di altri mali, nella vita della società umana: la dimenticanza di Dio. «Sarebbe bello se i non credenti cercassero di vivere “come se Dio esistesse”. Anche se non abbiamo la forza di credere, dobbiamo vivere sulla base di quest’ipotesi, altrimenti il mondo non funziona. Ci sono molti problemi che devono essere risolti, ma non lo saranno mai del tutto se Dio non è posto al centro, se Dio non diventa nuovamente visibile nel mondo e determinante nella nostra vita»; era questa la sfida che un altro Benedetto (XVI) lanciava al mondo ateo e agnostico nel suo appello ai partecipanti al Cortile dei Gentili nel novembre del 2012, alla quale dovremmo aggiungere un altro auspicio: sarebbe bello se i credenti vivessero come se Dio esistesse, perché ormai la categoria dei “credenti non praticanti” si è allargata a dismisura. Nell’uno e nell’altro caso, vale il principio che se Dio non diventa visibile, e dunque presente a noi nella società, gli uomini sono destinati a essere schiacciati da acuti problemi irrisolvibili.
Né il primo Benedetto né il secondo intendevano riferirsi alla sfera del mero pensiero, quasi che si trattasse semplicemente, ogni tanto, di pensare all’ipotesi dell’esistenza della divinità. Il primo infatti non ha scritto degli statuti per una facoltà di filosofia, ma una regola assai pratica per dei monaci; il secondo non ha chiesto di pensare come se Dio esistesse, ma di vivere secondo questa ipotesi. Questo significa che la presenza di Dio nella vita dell’uomo e della società ha più a che fare con cose che si vedono e attività che si compiono, piuttosto che con idee che si sostengono o si negano. A più a che fare con riti che non con trattati. Dio dev’essere sperimentabile. E dev’essere sperimentabile come Dio, ossia come altro da noi.
Si potrebbe aprire qui – ma rassicuriamo il lettore che non è l’intento di questo breve articolo – una lunga dissertazione sul “sacro” e sulla sua sparizione dal nostro mondo, grazie non tanto all’opposizione atea, ma all’azione capillare di teologi e pastori che hanno pensato e continuano a pensare che, per rendere vicino Dio agli uomini, occorra attenuare, quando non del tutto estinguere, quelle linee di demarcazione che separano e distinguono la sfera divina da quella secolare. Operazione che comporta necessariamente la cancellazione dell’esperienza del sacro, che è appunto l’esperienza sensibile di ciò che è altro da noi e dalla nostra esperienza quotidiana: luoghi, tempi, oggetti, abiti, canti, profumi diversi, distinti, unici.
La sparizione del sacro ha portato all’ovvia e prevedibile conseguenza che gli uomini non sperimentano più Colui che il sacro significa e comunica ai nostri sensi. Ma togliere qualcosa dall’esperienza sensibile degli uomini, significa togliere loro la res stessa, dal momento che la nostra conoscenza parte sempre dalla sfera sensibile. Se la vita degli uomini, nella loro individualità, nella famiglia e nella società, non sperimenta più le “incarnazioni del Sacro”, ossia spazi, tempi, riti che si presentano nella vita dell’uomo, ma distinguendosi come altro da quella vita naturale, allora l’uomo cade nella dimenticanza di Dio, allora gli uomini vivono come se Dio non esistesse.
Il libro che spero il lettore vorrà avere in mano – Il tempo cattolico. Piccola guida alle tradizioni dimenticate (Natale, Pasqua e non solo), edizioni Il Timone – è nato con l’intento di rispondere al monito e alla sfida dei “due Benedetto”: fuggire la dimenticanza di Dio, vivere come se Dio esistesse. Risposta che vuole essere eminentemente pratica, riportando nella nostra vita personale, familiare, comunitaria, quei riti, quegli oggetti, quella scansione del tempo che la grande tradizione della Chiesa ha arricchito, custodito e trasmesso perché gli uomini possano sperimentare Dio coi loro sensi e resistere a quel logorio devastante di un tempo senza direzione, di uno spazio senza senso, di oggetti senza valore che sta travolgendo e dissolvendo l’uomo moderno.
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