In Cina si assiste da tempo a una crescita della pratica religiosa. La spinta a scoprire una fede pesca anche nella situazione di ansietà in cui vive la popolazione cinese e perfino i leader del Partito. La politica religiosa del Partito è più o meno la stessa da almeno 30 anni. È quanto afferma il prof. Richard Madsen, sociologo delle religioni dell’università di S. Diego (California), impegnato in una collaborazione con l’università Fudan di Shanghai e col Centro “Cina del 21mo secolo” di San Diego.
Lo scorso luglio, il prof. Madsen ha partecipato a un convegno tenutosi negli Stati Uniti a San Diego sulla situazione religiosa in Cina e sulle prospettive di libertà e di impegno delle religioni nel Paese. In seguito egli ha avuto una conversazione con il vice-direttore del Centro, il prof. Samuel Tsoi, che l’università ha pubblicato come podcast (http://china.ucsd.edu/media-center/podcast.html).
AsiaNews ha deciso di pubblicare a puntate la lunga conversazione fra il prof. Madsen e Samuel Tsoi.
Nel loro dialogo essi fanno riferimento agli avvenimenti successi lo scorso anno che mostrano un incremento del controllo sulle religioni e in particolare sui cristiani. Già nel 2015 Xi Jinping, incontrando il Fronte unito ha dato precise direttive: le religioni in Cina devono essere “cinesi” e libere da ogni “influenza straniera”. Esse devono integrarsi nella “società socialista” e sotto la guida del Partito comunista devono “servire lo sviluppo della nazione”. Nel 2016, egli ha ribadito l’importanza del controllo sugli affari religiosi, legata “alla sicurezza dello Stato e all’unificazione della nazione”. Infine, lo scorso settembre, sono stati pubblicati i nuovi regolamenti sulle attività religiose. Secondo il prof. Madsen, il controllo sulle religioni è simile a quello che la Cina esercita su molti aspetti della società e appare difficile prevederne la cancellazione.
Pubblichiamo di seguito la prima parte della conversazione. Traduzione ed editing a cura di AsiaNews.
Il Prof. Madsen sta attualmente lavorando al suo ultimo libro sulla felicità in Cina che lui descrive come l’esplorazione e la ricerca di una vita buona in Cina in un momento di ansietà. Forse l’incremento così grande in fede religiosa nel Paese può essere spiegato proprio da questa domanda sulla ricerca contemporanea cinese per una vita migliore in tempi di ansia. Questo nuovo progetto che “sinicizza” la religione significa più o meno libertà? Come i fedeli vivono la loro fede in questo contesto di controllo statale?
Prof. Madsen, grazie davvero per essere con noi oggi a rispondere a queste domande. Lei ha dedicato parte della sua carriera a studiare la religione in Cina. Questa nuova politica segna un cambiamento nell’atteggiamento del governo cinese verso la nostra religione? Come interpreta la direttiva di Xi Jinping nel far praticare le religioni all’interno del socialismo con caratteristiche cinesi?
Beh, è un grande piacere essere qui. Penso che le nuove direttive non rappresentino un cambiamento così radicale poiché una stretta della politica [verso le religioni] è in vigore almeno dagli ultimi 30 anni circa. Dopo il 1949, all’inizio del regime comunista in Cina, è stata compiuta un’importante azione per sopprimere qualsiasi forma di pratica religiosa. Le pressioni hanno assunto forme diverse, con diffidenza per la religione, ma in sostanza lo scopo era eliminare le religioni dalla società cinese. E poi ha raggiunto il suo picco con la cosiddetta Rivoluzione culturale, dal 1966 al 1976, quando le Guardie rosse hanno distrutto famose chiese, templi e simboli religiosi ecc.… Hanno perseguitato duramente i credenti che praticavano la loro fede in modo esplicito. Quando nel 1979 è iniziata la cosiddetta “era delle riforme”, c’è stato un allentamento di queste politiche e un “riconoscimento” che il tentativo di spazzare via la religione, quello che loro chiamano “di ultrasinistra (ultraleftist)”, era contro-produttivo e stava spingendo le persone a svolgere le loro pratiche religiose ancora di più, causando una reazione negativa. Così, la nuova politica è stata quella di riconoscere che le religioni esistono ancora e che vanno tenute strettamente sotto controllo con la credenza che le fedi prima o poi andrebbero ad estinguersi man mano che la modernizzazione in Cina avanza.
Nello stesso tempo esse sarebbero state tenute sotto controllo facendole funzionare, ma entro strette linee guida. Questa è stata la politica che ha fatto produrre il documento n. 9 del Comitato centrale del Pcc (Partito comunista cinese) nel 1982, che ha precisato questo quadro generale. Ora, quello che è successo è che c’erano molte più religioni di quelle che essi pensavano di controllare. Insomma, negli ultimi 20 anni sono stati ricostruiti milioni di templi; le comunità religiose, come le cristiane, le buddiste e perfino il culto del dollaro sono cresciute in modo enorme. Perciò nella loro politica c’è molta politica religiosa. La loro politica originale era che la religione sarebbe morta prima o poi, come è nella mentalità marxista-leninista, ma non aveva funzionato. Quindi, ci sono più religioni che essi devono tentare di gestire. E per questo hanno modificato la politica per cercare di tenerle sotto controllo. Nello stesso tempo, negli ultimi 5-10 anni è successo qualcosa di nuovo nell’ideologia del governo cinese, ovvero una nuova enfasi sul “nazionalismo”. Prima della fine di Mao il governo era legittimato sulla base del marxismo e del leninismo. Ora il linguaggio marxista-leninista esiste ancora ed è ancora praticato, ufficialmente lo si usa ancora, ma questo riconoscimento non è abbastanza. il riconoscimento del Partito ora ha nuove funzioni: esso è un partito rivoluzionario, ma il presidente Xi Jinping lo definisce un “partito di governo” e c’è bisogno di una base per legittimarlo. Così, la nuova base di sostegno è il nazionalismo, la grande storia gloriosa della civilizzazione cinese e del suo popolo, che include anche parte del suo patrimonio religioso. A causa di ciò, alcuni aspetti del patrimonio – insegnamenti confuciani, aspetti della religione popolare – sono oggi ridefiniti come “intangibile patrimonio culturale”. Prima queste erano chiamate “superstizioni feudali”. Ora, essendo patrimonio culturale, sono parte della saggezza del popolo cinese. C’è perciò una nuova tolleranza per questi aspetti e infatti vi è pure un nuovo appello al confucianesimo, come una base notevole e una fondazione morale per la Cina.
Nello stesso tempo, altri tipi di religioni non sono visti come parte del glorioso patrimonio storico e culturale cinese quali il cristianesimo e l’islam. Per questo essi sono visti con sospetto e strettamente controllati. Al presente c’è questo tipo di politica mista. Il più recente pensiero che è uscito dalla conferenza di qualche mese fa era cercare di discutere come gestire tutto questo e comprendere la direzione complessiva del governo, che è in linea con la direzione presa per altri aspetti della società cinese: stringere i controlli, sottomettere al controllo centrale, sorvegliare, reprimendo ogni forma considerata una possibile minaccia per lo Stato cinese. E questo si traduce in un crescente controllo dell’ambiente religioso.