Mai come ora la Giornata Mondiale del Malato arriva provvidenziale per una presa di coscienza del dono della vita pur nella sofferenza e nella malattia. Sono trent’anni che questa ricorrenza torna puntuale ogni anno l’11 febbraio, festa della Madonna di Lourdes, il cui santuario è legato in maniera speciale alla sofferenza: malati e operatori sanitari li vedi tutto l’anno pellegrinare davanti a quella grotta, un tempo pascolo di maiali e diventata dall’11 febbraio 1858 luogo di guarigione spesso fisica, e ancor più frequentemente spirituale.
Quando trent’anni fa papa Giovanni Paolo II volle istituire questa Giornata Mondiale, egli stesso veniva fuori da una serie d’interventi medici e ospedalieri che l’avevano reso ancor più attento e sensibile ai sofferenti e al valore del dolore che, illuminato dalla luce dell’amore di Dio, può tramutarsi addirittura in “dono” come avviene in tanti fratelli e sorelle che nel silenzio delle loro sofferenze mostrano il sorriso della pace e diffondono il profumo della speranza. Oggi di questo vorrei che la Giornata del Malato parlasse al nostro cuore, assalito in questi anni dalla paura di ammalarsi e dal terrore di morire.
Il “santo” vaccino è stato scelto come la soluzione di un problema che è assai più vasto e profondo, come i veri fatti del quotidiano vivere mostrano a chi vuole e s’impegna a leggerli. Il dolore, la sofferenza e la morte fanno parte dell’esistenza terrena di tutti i viventi (piante, animali, essere umani) e una certa cultura medicalizzata di questi anni ha fatto credere che l’uomo potesse riuscire a sconfiggere il male, e persino la morte, con la tecnica e la scienza. Le medicine, la ricerca e le cure sono un aiuto fondamentale, ma non sono la soluzione del male che ha un volto fisico percepibile e un’altra faccia invisibile e sfuggente. Un esempio concreto. Un misterioso virus ha assalito in questi ultimi tempi l’umanità e noi, umani di questa generazione che in tutti i modi abbiamo cercato di uccidere il dolore e di abbattere i malanni fisici, siamo stati assaliti dal terrore e ci siamo messi totalmente nelle mani di comitati tecnici e scientifici.
Gli scienziati tra loro spesso in competizione, come fossero sacerdoti di un dio della guarigione, hanno dettato regole e terapie per sconfiggere questo virus, che, guarda caso, sfugge alla loro rincorsa e muta continuamente tattica. I risultati sono davanti agli occhi di tutti e, in definitiva, a farne le spese è la nostra società che si trova divisa e confusa fino a generare scontri fratricidi, le cui conseguenze non sono tutte prevedibili. Come cittadino non posso non ammirare e ringraziare scienziati e operatori sanitari per il loro indispensabile servizio che rendono alla comunità. Come cristiano debbo però subito aggiungere che il volto nascosto e misterioso del virus si riconosce solo alla luce dell’amore di Dio che c’invita a fidarci di Lui e a ricorrere al suo aiuto come figli in difficoltà.
Ecco allora l’occasione per capire e vivere appieno il senso di questa Giornata Mondiale del Malato! Credo e prego perché sia occasione per mettere la nostra paura del virus e della malattia, come pure e soprattutto il terrore della morte, insieme ad ogni nostra pena e preoccupazione nelle ferite salvifiche del corpo crocifisso e risorto di Cristo. Il sangue di Dio fatto uomo ha il potere di guarire e di trasformare ogni nostra ferita, fisica, psicologica, sociale, morale, spirituale, in “feritoie” di salvezza. Non possiamo pretende di distruggere il dolore e ancor più la morte: sarebbe un’inutile utopia perché, non sappiamo come e quando, ma siamo tutti attesi nell’appuntamento della morte. Possiamo e forse dobbiamo riscoprire come credenti che anche le fatiche del dolore fanno parte del nostro pellegrinaggio. Insieme però a Gesù, uomo dei dolori e dell’amore, la nostra sofferenza diventa una sfida di solidarietà. Ci rende più fratelli e, nell’aiutarci vicendevolmente, possiamo alleviare le nostre reciproche pene fisiche e spirituali. Questo è indispensabile per ricreare il clima della speranza, della fraternità e della fiducia nella vita. Allora anche la morte perde il suo veleno per diventare passaggio indispensabile verso la vita che non muore.
A Lourdes la Madonna ha detto a Bernadette, e oggi ripete a tutti noi, “Non vi prometto di rendervi felice in questo mondo, ma nell’altro”.
+ Giovanni D’Ercole
Vescovo Emerito di Ascoli Piceno
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