Una foto (in evidenza) postata sui social della “Parrocchia di San Michele di Ollolai” lo scorso 28 agosto, ma che ad oggi risulta rimossa, non è passata inosservata: ritraeva don Luca Mele, sacerdote sardo, con un fucile scarico sulla spalla e una cartucciera in vita. Ad accompagnare l’immagine, una sola parola: «Convertitevi».
È bastato questo, forse implementato dal fatto che il ministro di Cristo vestiva l’ormai dismessa talare nera che contraddistingue i sacerdoti facilmente etichettati nella mentalità comune quali “tradizionalisti”, per dare vita a un tam tam dai toni polemici che ha costretto lo stesso don Luca a intervenire e a fornire spiegazioni.
Innanzitutto contestualizzando lo scatto, avvenuto durante i consueti festeggiamenti religiosi in occasione della Festa per il compatrono della parrocchia di Ollolai, San Bartolomeo apostolo, che la Chiesa ricorda il 24 di agosto, e che nell’isola sono tradizionalmente accompagnati da spari eseguiti dai fucilieri con regolare porto d’armi e autorizzati da chi di competenza.
«Questo rito», ha spiegato infatti il sacerdote, «è diffuso anche in altri paesi dell’isola e si radica nei secoli della dominazione spagnola, quando – in sostituzione delle campane mute durante il triduo pasquale – i colpi di archibugio annunciavano la Domenica di Risurrezione. E con il passare del tempo, è stato adottato anche per altri appuntamenti comunitari nel desiderio di esprimere maggiore solennità nelle giornate in cui si festeggiano i patroni della parrocchia. Si tratta di un patrimonio caratteristico custodito con orgoglio e fede. Altrettanto si può affermare, ad esempio, per la presenza dei cavalieri in una processione».
Tuttavia, l’intervento di don Luca non si è fermato qui: il sacerdote ha anche voluto fornire una risposta a chi lo ha accusato di diffondere messaggi violenti. E lo ha fatto in maniera sottile, ma incisiva: «Non posso rispondere», ha infatti affermato, «delle maliziose strumentalizzazioni che hanno l’obiettivo di colpire i sacerdoti e che addirittura riservano commenti sulle armi in genere, come se tutti quelli che seguono la passione venatoria o l’hobby del tiro sportivo siano assassini».
Leggendo tra le righe, si può azzardare questa interpretazione: coloro che si dichiarano contro la violenza, arrivando magari anche a condannare l’uso tout court delle armi e a considerare chi ne fa uso degli «assassini», anche quando usate nella caccia o per sport, sono poi i primi che non si fanno poi troppe remore nel «colpire i sacerdoti», solo in quanto tali, facendo leva su situazione pretestuose. Il sottinteso è chiaro: la violenza non è solo, e non tanto, almeno oggi, quella che si porta avanti a suon di colpi di fucile, tanto quella che stilla dalle parole che si pronunciano… o si scrivono. Certo, si tratta di una violenza che non uccide il corpo, ma che comunque ferisce, spesso irrimediabilmente, le persone che vengono prese a bersaglio.
Ma d’altronde Gesù lo aveva detto: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; sono venuto a portare non pace, ma spada» (Mt 10,34). Il che non è un inno alla violenza, ma una constatazione di realtà: l’adesione al cristianesimo è un segno di contraddizione… e genera inevitabilmente una divisione, spesso anche violenta. Ma, insegna ancora il Cristo: «Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi» (Mt 5, 11-12).
Ecco che, dentro tale prospettiva, anche il «Convertitevi» scritto da don Luca sotto la foto che lo ritrae con il fucile non ha nulla di violento: è anzi un un richiamo rivolto ad ognuno a guardare più in alto… per conquistare – e questa volta il termine militaresco è pienamente adatto – una gioia piena, destinata a non morire più.
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