«A me non piace, e voglio dirlo chiaramente, a me non piace quando si parla di un genocidio dei cristiani, per esempio nel Medio Oriente: questo è un riduzionismo, è un riduzionismo. La verità è una persecuzione che porta i cristiani alla fedeltà, alla coerenza nella propria fede. Non facciamo un riduzionismo sociologico di quello che è un mistero della fede: il martirio. Quei 13 – credo che fossero uomini egiziani cristiani copti, santi oggi, canonizzati dalla Chiesa Copta – sgozzati sulle spiagge della Libia: tutti sono morti dicendo: “Gesù, aiutami!”. Gesù. Ma io sono sicuro che la maggioranza di loro non sapesse nemmeno leggere. Non erano dottori in teologia, no, no. Era gente, come si dice, ignorante, ma erano dottori di coerenza cristiana, cioè erano testimoni di fede. E la fede ci fa testimoniare tante cose difficili nella vita; anche con la vita testimoniamo la fede. Ma non inganniamoci: il martirio cruento non è l’unico modo di testimoniare Gesù Cristo. E’ il massimo, diciamo, eroico. E’ anche vero che oggi ci sono più martiri che non nei primi secoli della Chiesa, è vero. Ma c’è il martirio di tutti i giorni: il martirio dell’onestà, il martirio della pazienza, nell’educazione dei figli; il martirio della fedeltà all’amore, quando è più facile prendere un’altra strada, più nascosta: il martirio dell’onesta, in questo mondo che si può chiamare anche “il paradiso delle tangenti”, è tanto facile: “Lei dica questo e avrà questo”, dove manca il coraggio di buttare in faccia i soldi sporchi, in un mondo dove tanti genitori danno da mangiare ai figli il pane sporcato dalle tangenti, quel pane che loro comprano con le tangenti che guadagnano… Lì è la testimonianza cristiana, lì è il martirio: “No, io non voglio questo!” – “Se tu non vuoi, non avrai quel posto, non potrai salire più in alto”. Il martirio del silenzio davanti alla tentazione delle chiacchiere. Per un cristiano – lo dice Gesù – non è lecito chiacchierare. Gesù dice che quello che dice “stupido” al fratello deve andarsene all’inferno. Voi sapete che le chiacchiere sono come la bomba di un terrorista, di un kamikaze – non di un kamikaze, di un terrorista, almeno il kamikaze ha il coraggio di morire anche lui – no, le chiacchiere sono quando io butto la “bomba”, distruggo quello, e io rimango felice. Ma la testimonianza cristiana è il martirio di ogni giorno, il martirio silenzioso, e noi dobbiamo parlare così. “Ma noi siamo uomini e donne martirizzati, dobbiamo avere la faccia triste, una faccia… col muso lungo”. No. C’è la gioia della parola Gesù, come quelli della spiaggia della Libia.
E ci vuole coraggio, e il coraggio è un dono dello Spirito Santo. Il martirio, la vita cristiana martiriale, la testimonianza cristiana non si può vivere senza il coraggio della vita cristiana. San Paolo usa due parole, per indicare la vita martiriale cristiana, la vita di ogni giorno: coraggio e pazienza. Due parole. Il coraggio di andare avanti e non vergognarti di essere cristiano e farti vedere come cristiano, e la pazienza di portare sulle spalle il peso di ogni giorno, anche i dolori, anche i propri peccati, le proprie incoerenze. “Ma, si può essere cristiano con i peccati?”. Sì. Tutti siamo peccatori, tutti. Il cristiano non è un uomo o una donna che ha l’asepsi dei laboratori, non è come l’acqua distillata! Il cristiano è un uomo, una donna capace di tradire il proprio ideale con il peccato, è un uomo e una donna debole. Ma noi dobbiamo riconciliarci con la nostra debolezza. E così il naso [l’aspetto] diventa un po’ più umile. Più umile».
‒Visita a “Villa Nazareth”, 18 giugno 2016