Papa Francesco ha detto che l’aborto è un omicidio. Si è chiesto: «come può essere terapeutico, civile, o semplicemente umano un atto che sopprime la vita innocente e inerme nel suo sbocciare? È giusto fare fuori una vita umana per risolvere un problema? È giusto affittare un sicario per risolvere un problema?».
Lo ha detto ieri, durante la consuete udienza del mercoledì in piazza San Pietro, parlando del quinto comandamento che dice di «non uccidere». Lo ha detto come lo diceva il Concilio Vaticano II nella costituzione pastorale Gaudium et spes, quella sulla chiesa nel mondo contemporaneo, per cui «la vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura; e l’aborto come pure l’infanticidio sono abominevoli delitti» (n. 51).
Quindi è perfino ovvio che ci sarebbe da scandalizzarsi se il Papa dicesse il contrario.
Invece, come al solito, si parla di ritorno al medioevo per lesa maestà alla libera scelta, come se questa fosse un valore a prescindere. Senza altri riferimenti. La libertà, che è certamente un costitutivo essenziale della persona, è come una freccia che deve colpire il bersaglio del bene, non si può chiamare libertà quella che va per il male. La freccia deve essere scoccata sotto la guida della retta ragione nel singolo atto vissuto.
La comprensione per la sofferenza che può portare fuori strada l’esercizio della libertà non cancella il bersaglio da centrare. Vale per ogni persona e anche per lo Stato laico, che se non si preoccupa della retta ragione nella scelta tra bene e male finisce per diventare anarchia o una qualche forma di totalitarismo.
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