Con l’armistizio proclamato dal maresciallo Badoglio l’8 settembre del ‘43, mentre il re Vittorio Emanuele III e lo Stato maggiore scappano da Roma, la Germania dà il via all’Operazione Achse: i reparti della Wehrmacht e le SS prendono il controllo del nord Italia fino a Roma, dove la situazione degli ebrei diventa ogni giorno più drammatica. Ma se ormai nessuno storico può più negare la copertura che i conventi (circa 110), gli istituti cattolici e le stesse mura vaticane hanno dato agli ebrei scampati al rastrellamento nazista della capitale, è solo dell’altro ieri la notizia che nell’archivio del Pontificio Istituto Biblico di Roma è stata rinvenuto l’elenco dei nomi di chi si è salvato grazie alla coraggiosa e “invisibile” rete messa a punto da suore e religiosi cattolici. Una documentazione assolutamente inedita, che racconta di ben 4.300 persone, di cui 3.600 identificate per nome. Dal confronto incrociato con i documenti dell’archivio della Comunità Ebraica di Roma, poi, circa 3.200 uomini, donne e bambini risultano con certezza ebrei. «Di questi ultimi sappiamo dove sono stati nascosti e, in talune circostanze, i luoghi di residenza prima della persecuzione», si legge in una nota congiunta del Pontificio Istituto Biblico, della Comunità Ebraica di Roma e dello Yad Vashem, «la documentazione incrementa così significativamente le informazioni sulla storia del salvataggio di ebrei nel contesto degli istituti religiosi di Roma». Il documento, destinato a illuminare con una precisione mai avuta prima quella crudele pagina di storia, è stato presentato giovedì scorso presso il Museo della Shoah di Roma durante un workshop dal titolo “Salvati. Gli ebrei nascosti negli istituti religiosi di Roma (1943-1944)”.
LE PAROLE (ELOQUENTI) DI PAPA FRANCESCO
Nessuna illusione sul fatto che la scoperta delle migliaia di nomi e cognomi ebrei metta fine alla controversia storica su Pio XII. Disputa irriducibile, che da un lato lo vuole protagonista di azioni audaci a tutela degli ebrei perseguitati (ormai sempre meno occultabili) e dall’altro lo addita come portatore di troppi “silenzi” a fronte delle notizie che arrivavano dai territori occupati da Hitler. Non sono bastate le parole con cui Papa Francesco ha annunciato l’apertura degli archivi su Papa Pacelli. Parole misurate ma particolarmente eloquenti. «Assumo questa decisione», così il pontefice argentino il 4 marzo 2019, «con animo sereno e fiducioso, sicuro che la seria e obiettiva ricerca storica saprà valutare nella sua giusta luce, con appropriata critica, momenti di esaltazione di quel Pontefice e, senza dubbio anche momenti di gravi difficoltà, di tormentate decisioni, di umana e cristiana prudenza, che a taluni poterono apparire reticenza, e che invece furono tentativi, umanamente anche molto combattuti, per tenere accesa, nei periodi di più fitto buio e di crudeltà, la fiammella delle iniziative umanitarie, della nascosta ma attiva diplomazia, della speranza in possibili buone aperture dei cuori».
PIÚ SIMPATICO AGLI STORICI (MA AL PREZZO DI QUANTE VITE?)
Purtroppo la leggenda nera che vede in Pio XII un pavido amante della ragion di Stato è ancora dura a morire. Ciò che certa storiografia fatica (volutamente?) a riconoscere è che Eugenio Pacelli non era alla ricerca del suo prestigio personale, ma della salvezza di più vite umane possibili. Lo scrive chiaramente mons. Vitaliano Mattioli, che al nodo storico ha dedicato più di un libro: «Suo scopo non era quello di condannare il nazismo per smania di condanna ma di sottrarre il maggior numero possibile di individui a quell’insano furore. Pio XII aveva capito che una condanna esplicita e diretta avrebbe ancora di più aizzato la “belva” contro innocenti. Forse lo avrebbe reso più simpatico agli storici ma a prezzo di quante vite, lacrime e sofferenze! Non era questo quello che il papa cercava». Troppo facile per i critici di stampo laicista sfruttare strumentalmente altre figure – ad esempio quella del vescovo August von Galen, “il leone di Münster”, – per richiamare la nettezza con cui si scagliò contro Hitler (tra l’altro sempre col pieno appoggio di Pio XII). Che si dovessero sfruttare strategie diverse per arginare il male assoluto viene fuori anche dalle parole che Pacelli affidò al Dino Alfieri, ambasciatore in procinto di partire per Berlino. «Dica a tutti», disse Pio XII mentre consegnava ad Alfieri una lettera da recapitare al Führer, «che il papa agonizza per loro e con loro. Dica che, più volte, avevo pensato a fulminare con scomunica il nazismo, a denunciare al mondo civile la bestialità dello sterminio degli ebrei! Abbiamo udito minacce gravissime di ritorsione, non sulla nostra persona, ma sui poveri figli che si trovano sotto il dominio nazista; ci sono giunte gravissime raccomandazioni, per diversi tramiti, perché la Santa Sede non assumesse un atteggiamento drastico». Basterebbe questa accorata confessione per buttare al macero tonnellate di pubblicistica anticristiana. Ma lo struggimento e il tormento affidato dal Pontefice all’ambasciatore proseguiva: «Dopo molte lacrime e molte preghiere, ho giudicato che la mia protesta, non solo non avrebbe giovato a nessuno ma avrebbe suscitato le ire più feroci contro gli ebrei e moltiplicato gli atti di crudeltà perché sono indifesi. Forse, la mia protesta solenne avrebbe procurato a me una lode nel mondo civile, ma avrebbe procurato ai poveri ebrei una persecuzione anche più implacabile di quella che soffrono».
Timori, quelli di Pio XII, affatto infondati: una lettera della Conferenza dei vescovi olandesi del 1942, apertamente schierata contro il «razzismo nazista», provocò l’immediato arresto di tutti gli ebrei del Paese convertiti al cristianesimo; tra di essi anche Edith Stein e sua sorella, in seguito uccise ad Auschwitz.
«IL CALVARIO DELLA RESPONSABILITÀ»
Nel crocevia per cui sia il “silenzio” che il “grido” possono aizzare un di più di ferocia, chi è chiamato a decidere può trovarsi schiacciato da quello che lo scrittore Nando Fabro, parlando di Papa Pacelli, definiva «il Calvario della responsabilità». Tutto ciò senza nemmeno contare il fatto, ormai storicamente provato, che Hitler aveva progettato di rapire il Papa, «ripetendo la vicenda dell’arresto del Papa in epoca napoleonica», scrive lo storico Andrea Riccardi. La verità è che l’assoluta e incontenibile passione per l’uomo Eugenio Pacelli l’ha dimostrata con tutto quanto fece per custodire vite umane. Ai suoi critici ancora non basterà, ma il ritrovamento dei nomi di 3200 ebrei salvati è li a dimostrarlo (ancora una volta e con inattaccabile autoevidenza).
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