Nella scorsa legislatura, almeno a parole, sul tema della libertà educativa si è registrato un ampio consenso parlamentare, mai tradottosi, però, in misure concrete, anche per l’ostilità del Movimento 5 Stelle, di Sinistra italiana e di una parte del Partito Democratico. Nel programma elettorale del centrodestra, invece si parla a chiare lettere di «Riconoscere la libertà di scelta educativa delle famiglie attraverso il buono scuola». Un impegno concreto? Ne abbiamo parlato con suor Anna Monia Alfieri, insegnante, saggista, vincitrice dell’Ambrogino d’Oro per il suo impegno a favore di una scuola plurale che il 2 giugno scorso ha ricevuto l’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica italiana proprio a conferma che la libertà di scelta educativa è un valore civile. La sua è una voce autorevole e di indiscussa trasversalità politica, capace di creare ponti fra aree diverse (come dimenticare il tavolo sui costi standard istituto nel 2017 dalla ministra fedeli di sinistra con il plauso delle forziate apre a e Gelmini). Per questo Il Timone la ha avvicinata.
Suor Anna, il centrodestra nel suo programma, parla di “buona scuola”, è una buona premessa?
«Questo è un evento straordinario. Nella precedente legislatura ho avuto l’onore di lavorare come consigliera del ministro Bianchi che aveva nel cuore, non tanto la libertà di scelta educativa, quanto una sana competizione tra scuole statali e paritarie e in più avevamo un sottosegretario all’istruzione, come Sasso, della Lega, che si è rivelato disponibile a supportarlo nelle riforme necessarie per far ripartire la scuola, nonostante il covid. Tuttavia, nel governo di unità nazionale non c’era appunto la convergenza sulla libertà di scelta educativa, perché nel centrosinistra e meno che mai nei 5 Stelle, esiste questo concetto. La prova del nove, nel presente, sono stati i programmi elettorali, dai quali emerge che solo il centrodestra ha il coraggio di parlare di libertà di scelta educativa, di pluralismo scolastico, di costi standard, di asili nido».
A sinistra e nelle altre forze non c’è nulla?
«Anche il Pd accenna timidamente ai costi standard nel programma elettorale, ma nonostante l’autore della legge sulla parità scolastica sia Luigi Berlinguer, già ministro del Pd, la sinistra non riesce a compattarsi intorno al sistema scolastico integrato e quindi alla libertà di scelta educativa. La questione è che sulla scuola non possono esserci mezze posizioni, occorre schierarsi o si è a favore della libertà di scelta educativa della famiglia o no. Nel mezzo c’è il disastro a cui abbiamo assisto, una scuola sempre più classista, regionalista e discriminatoria. Comunque mi aspetto che l’opposizione aiuti in modo costruttivo, considerato anche che Azione di Carlo Calenda ha chiaramente la libertà di scelta educativa nel programma».
La libertà educativa ha a che fare con le pari opportunità?
«Sì, perché in Italia non esistono le pari opportunità, nel campo dell’istruzione. Se uno studente nasce a Milano ha più opportunità di uno studente che nasce a Trapani. Perché a Milano grazie alla presenza di un pluralismo educativo del 37% può scegliere la scuola da frequentare, una formazione davvero buona e le migliori università. Un ragazzo del sud non ha tutte queste opportunità».
Perché la libertà educativa è osteggiata e da chi?
«È osteggiata dallo stato, in primis: lo stato italiano ha sempre ritenuto la scuola, una cosa “propria”, perché i figli sono suoi e li forma lui, cosa che va in netta contrapposizione con quella che è la realtà, ovvero che i figli sono dei genitori e l’educazione è una prerogativa dei genitori. Per questo lo stato italiano ha sempre voluto lo statalismo della scuola, perché dare la possibilità alle famiglie di educarsi i figli da sole è pericoloso, perché crea gente pensante. Formare le menti è qualcosa di prezioso. Inoltre, la libertà educativa è sempre stata osteggiata dai sindacati, che hanno visto nella scuola il “postificio”. E parliamo di posti di lavoro, in realtà, inesistenti: basti pensare che in Italia abbiamo 150.000 cattedre precarie, ovvero un esubero di docenti rispetto alle cattedre. Il terzo ostacolo è la burocrazia che ha fatto credere, negli anni, che il costo di un allievo nella scuola statale fosse gratis e non è affatto vero. Col tempo, infatti, abbiamo dimostrato, con un lavoro fatto insieme alla ministra Giannini prima e con la Fedeli dopo, che lo stato sostiene un costo di circa 10.000 euro ad alunno. La narrazione che invece si diffonde è che la scuola paritaria sia la scuola dei ricchi che toglie soldi alla scuola statale. Noi abbiamo dimostrato il contrario: che la scuola paritaria prende dai cittadini solamente 500 euro, facendo, anzi risparmiare lo stato».
Quando si pensa alla scuola cattolica, si pensa necessariamente ad una scuola confessionale o clericale che dir si voglia?
«Assolutamente no, basti pensare che tutta la classe politica degli ultimi 30 anni ha studiato nella scuola cattolica. Tant’è che mi sono sempre chiesta come mai la sinistra e i 5 Stelle osteggiassero la scuola paritaria, se ci mandavano i figli. Inoltre il paradosso è che persino nella laicissima Francia i cittadini possono decidere di mandare i loro figli nella scuola statale o in quella paritaria a costo zero, per evitare discriminazioni economiche. Invece noi, in Italia non vogliamo emancipare le classi più povere, per poterle legare alla ciotola di una politica assistenzialista. Il risultato nefasto è che nel nord abbiamo un pluralismo del 37%, nel sud va dal 4 all’8% massimo. Un divario incredibile».
Cosa si aspetta dal nuovo ministro dell’istruzione in modo particolare?
«Non mi aspetto miracoli, perché si trova di fronte ad un divario culturale tra nord e sud incredibile. Vorrei, tuttavia, che eseguisse ciò che c’è scritto nel programma del centrodestra, in particolare, mi riferisco agli aiuti alle famiglie, soprattutto per permettere a quelle poche scuole paritarie del sud di non chiudere. Mi aspetto anche che stringa alleanze tra il pubblico e il privato tra gli asili nidi pubblici e privati. Ci sono tati Comuni virtuosi che l’hanno fatto. Questo si può fare subito, permettendo con la legge di bilancio la detrazione o il buono scuola, pari almeno al 70% del costo medio studente, facendo in modo che la differenza la mettano le regioni».
Potrebbe interessarti anche