Il vergognoso linciaggio mediatico promosso dalle organizzazioni Lgbt e ampiamente sostenuto ieri dal sito del quotidiano Repubblica nei confronti del giudice del Consiglio di Stato Carlo Deodato, è un segnale chiaro del clima di intolleranza da una parte e di conformismo culturale dall’altra che ormai domina il nostro Paese, e non solo.
Qual è la colpa di Deodato, ovvero del relatore della sentenza del Consiglio di Stato contro la trascrizione delle nozze gay? Quella di essere un cattolico che ha manifestato opinioni a difesa della famiglia naturale. Sono andati a riprendere vecchi tweet che rilanciavano immagini delle Sentinelle in piedi (peraltro ritwittava la Nuova Bussola Quotidiana) per urlare l’indegnità del giudice e chiedere che la sentenza venga annullata (così sostiene ad esempio Franco Grillini, storico leader del movimento gay).
Questi signori fanno finta di non sapere che la sentenza è stata formulata da cinque giudici, non da uno solo, e dimenticano la loro contiguità con quella cricca di magistrati che in questi anni ha violentato il nostro sistema legislativo con sentenze creative contro la famiglia e la vita.
È un mondo rovesciato: il giudice che applica la legge viene aggredito e trattato come il peggiore dei criminali, e il giudice “creativo” – leggi: che viola le norme per legittimare ciò che alcune lobby vogliono – viene ovviamente esaltato. Già questo la dice lunga sul clima che si respira in Italia, c’è una cappa totalitaria che ci riporta alle atmosfere degli anni ’70, quando il pensiero unico si diffondeva con la forza e i grandi giornali, con i loro intellettuali in testa, si mettevano al servizio di un'ideologia assassina. Non per niente Repubblica ha dato massimo risalto e si è unita agli attacchi contro il giudice Deodato. Seguita a ruota da Corriere, Stampa e così via: tutti a far da amplificatori all’ideologia che sembra aver vinto.
Ma nella critica a Deodato va colto soprattutto un aspetto: il pregiudizio per cui essere cattolici è “un di meno”, non dà diritto a una piena cittadinanza, sicuramente rende incapaci di giudicare. È questa la vera discriminazione: un cattolico, per definizione, non può dire nulla nella gestione della cosa pubblica, secondo Repubblica & co. Guai se un cattolico pretende che la fede sia criterio di giudizio per tutto, anche per i problemi del proprio Paese o del mondo intero. Non gli si riconosce il diritto di esistere.
Non stupisce: Repubblica – ma anche i suoi colleghi milanese e torinese – persegue la rovina della Chiesa cattolica, l’eliminazione di ogni traccia del cristianesimo nella società; vogliono l’annientamento della Chiesa, la sua riduzione a insignificanza. E guarda caso sono gli stessi quotidiani che hanno seguito con grande attenzione il Sinodo, facendo un tifo sfegatato per una parte, fino a falsificarne l'esito. Non è schizofrenia ma coerenza.