Che la caduta si fosse arrestata era chiaro già da alcuni anni, ora, appunto, sembra manifestarsi una chiara e vibrante inversione di tendenza.
L’età media degli ordinandi resta alta, anche se non altissima, 34 anni. Un quarto di loro è nato fuori dagli Usa, in Paesi come Nigeria, Polonia, Vietnam, Colombia, Messico e Filippine.
Per la maggioranza si tratta di cattolici di nascita, il 7% sono convertiti. L’84% ha dichiarato di avere genitori entrambi cattolici.
Un dato significativo è che il 70%, prima di entrare in Seminario era solito pregare il Rosario o partecipare all’adorazione eucaristica.
Per interpretare correttamente questi dati serviranno tempo e analisi adeguate. Certamente si può notare come gli ordinandi del 2015 sono entrati in Seminario mediamente sei anni fa, nel pieno del pontificato di Benedetto XVI. A Joseph Ratzinger si deve anche un’azione incisiva nel ricambio della classe episcopale statunitense – iniziata già sotto Giovanni Paolo II – con l’ausilio, non è un mistero, di consulenti come il cardinale Raymond Leo Burke, nel suo ruolo ricoperto in anni cruciali all’interno della Congregazione per i vescovi.
Oggi la Conferenza episcopale degli Stati Uniti è tra quelle che portano più limpidamente – nelle prese di posizione pubbliche, nelle scelte pastorali, nella difesa del Magistero, nello slancio missionario – l’impronta wojtyliana e ratzingeriana insieme. E questo ha permesso, tra l’altro, di superare una crisi che ad alcuni sembrava quasi fatale, ovvero quella legata agli innumerevoli scandali per abusi sessuali commessi da esponenti dal clero, che hanno messo in ginocchio tantissime diocesi e hanno dato il via a una campagna di discredito senza precedenti del sacerdozio cattolico.