L’oggetto delle domande è l’aborto e l’obiezione di coscienza, ma sono le parole del ginecologo abortista a lasciare esterrefatti. Da radicale, socialista e ateo (ma rispettoso), il dott. Segato inizia con il ricordo di un’interruzione di gravidanza non riuscita: «Avevo aspirato qualcosa che non era l’embrione, avevo sbagliato. Una mattina ritrovai quella donna, aveva appena partorito. Mi fermò e mi disse: si ricorda di me dottore? Lo vede questo? Questo è il suo errore». «La madre sorrideva», ricorda il ginecologo, che al tempo procurava 300 aborti all’anno. «Fu lì che ho avuto la mia prima crisi di coscienza». E ripete: «L’errore più bello della mia vita. Il bambino cresceva intelligente e vivace. Un giorno la signora arrivò anche a ringraziarmi del mio errore. Cioè, ringraziò il Cielo. Quando nacque invece voleva denunciarmi».
E’ il destino di tutte le madri, nessuna si è mai pentita di aver deciso di portare a termine la gravidanza e non uccidere la vita nel suo grembo. Quel giorno ha segnato la vita del ginecologo abortista: «Ogni volta che uscivo dalla sala operatoria avevo un senso di nausea. Cominciavo a chiedermi se stavo facendo davvero la cosa giusta. Quanti bambini mai nati potevano essere come quel piccolo? Ma mi rispondevo che sì, che era giusto. Lo era per quelle donne». E’ il problema delle leggi che legittimano l’aborto: una vita umana vale meno del (presunto) diritto della donna a non voler portare avanti la gravidanza (diritto inesistente, come affermato dal giurista Vladimiro Zagrebelsky).
«Continuavo solo per impegno civile, per coerenza», afferma nell’intervista. «Qualcuno doveva fare il lavoro sporco e io ero uno di quelli e lo sono ancora. É come per un soldato andare in guerra. Se lo Stato decide che si deve partire ci dev’essere chi parte». Se lo Stato decide, bisogna obbedire. Parole terribili. Oggi il dott. Segato non opera quasi più aborti, «se posso evito e sono contento. Lo so, dovrei diventare anch’io obiettore ma non lo faccio per non avvilirmi rispetto alla decisione iniziale. La verità è che più vado avanti con gli anni e più sto male e intervengo così solo per emergenze. Se succede però non sono sereno. Come non lo sono le mamme che in tanti anni sono passate dal mio reparto. Non ne ho mai vista una felice del suo aborto. Anzi, molte sono divorate per sempre dal senso di colpa. Quando le ritrovo mi dicono “dottore, ho sempre quella cicatrice, me la porterò nella tomba”. Poi pensi e ripensi e ti dici che per molte di loro sarebbe stato peggio non farlo e vai avanti così, autoassolvendoti». Un’assoluzione illusoria, però, perché sopprimere una vita umana per soddisfare un desiderio a non avere un bambino è un crimine morale, e lo dimostra proprio il profondo disagio di questo ginecologo.
Le parole e l’onestà del medico vicentino sono quasi commoventi per chi si batte per i diritti dei bambini non ancora nati. Ci sentiamo di ringraziarlo, così come un ringraziamento va al giornalista Andrea Pasqualetto che lo ha intervistato. Le sue parole ricordano molto quelle di una sua collega, anche lei abortista, Alessandra Kustermann, ginecologa e primario di ostetricia e ginecologia della Mangiagalli di Milano: «So benissimo che sto sopprimendo una vita. E non un feto, bensì un futuro bambino», ha ammesso nel 2011. «Ogni volta provo un rammarico e un disagio indicibili».
Rammarico, disagio, disgusto, nausea…queste le sensazioni sperimentate dai medici abortisti quando interrompono una vita umana. Questa è l’unica risposta a chi domanda, maliziosamente, il perché quasi l’80% dei ginecologi ha deciso di non praticare più l’aborto, sospettando chissà quale guadagno economico o ipocrisia nascosta. No, è pura consapevolezza: «che sto sopprimendo una vita. E non un feto, bensì un futuro bambino», secondo le parole della ginecologa Kustermann. Vanno avanti, tuttavia, convinti di fare il bene di qualcuno anche se -ha ammesso il dott. Segato-, «non ne ho mai vista una felice del suo aborto. Anzi, molte donne sono divorate per sempre dal senso di colpa».