Dopo la canonizzazione di sua sorella Gianna Beretta Molla, da ieri, 14 dicembre, sono state riconosciute le virtù eroiche anche del religioso cappuccino padre Alberto Beretta, al secolo Enrico. In comune con la sorella santa, la passione per la medicina. L’11 luglio 1942, infatti, Enrico, si laureò in Medicina a Milano, maturando contemporaneamente, in lui, il desiderio di consacrarsi a Dio. Ma fu solo quando, dopo la guerra, si recò a San Giovanni Rotondo e servì una Messa celebrata da san Pio da Pietrelcina che si vide confermata dal futuro santo con le stimmate, la vocazione alla vita religiosa. Così, il giorno del funerale di suo padre, Enrico comunicò alla famiglia la sua decisione in merito alla vita consacrata.
Così nel 1945 fu accolto come oblato tra i Cappuccini, a Milano. Nel febbraio 1948 vestì l’abito cappuccino e il 13 marzo dello stesso anno fu ordinato presbitero dall’Arcivescovo di Milano, il Beato Alfredo Ildefonso Schuster. In onore dei genitori, diventò fra Alberto Maria. In seguito, partì come missionario per il Brasile, a Grajaú, nel Maranhão, una regione priva di assistenza medica, in cui arrivò il 2 agosto 1949. Una settimana dopo, pronunciò una frase che rivela profondamente il senso della sua missione: «Il Signore accompagna da vicino qualsiasi anima. È lui il Salvatore di tutti. È lui, il Signore, colui che cura gli ammalati, noi siamo soltanto strumenti nelle sue mani».
In questa zona, all’epoca, totalmente disastrata, per oltre trent’anni curò corpi e anime. Papa Francesco, in questi giorni, ha autorizzato la promulgazione del Decreto sull’eroicità delle sue virtù: «Oggi, durante l’Udienza concessa a Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Marcello Semeraro, Prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, il Sommo Pontefice ha autorizzato il medesimo Dicastero a promulgare i Decreti riguardanti le virtù eroiche del Servo di Dio Alberto Beretta (al secolo: Enrico), Sacerdote professo dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini; nato il 28 agosto 1916 a Milano e morto il 10 agosto 2001 a Bergamo». Il suo ruolo di medico missionario occupò gran parte delle sue giornate, sforzandosi di essere sempre al passo con le cure mediche più avanzate, per fornire l’assistenza migliore possibile agli ammalati, soprattutto lebbrosi e malati affetti da patologie oculari.
Si spostava continuamente per i villaggi, per potervi celebrare la Messa almeno una volta l’anno. Mentre il 16 agosto 1964, con la professione perpetua, venne accolto definitivamente nell’Ordine cappuccino. Tuttavia, dopo ben trentatré anni di missione, fu colpito da un’emorragia cerebrale, il giorno della vigilia di Natale del 1981. Episodio che lo costrinse a tornare in Italia immediatamente dopo. Da allora, semiparalizzato, visse tra la casa di famiglia di Bergamo e l’infermeria dei Cappuccini venendo, dopo tanti anni a servizio degli altri, curato stavolta lui, dai suoi familiari.
L’ictus gli tolse anche l’uso della parola, ma accettò con mansuetudine la volontà di Dio. Da allora visse per 19 anni, mantenendo, dal suo letto, rapporti epistolari con le missioni in Brasile, che sosteneva con la sua costante preghiera. Ebbe, però, la gioia di poter assistere, il 24 aprile 1994, alla beatificazione di sua sorella Gianna, alla cui canonizzazione, invece, non fu presente perché morì il 10 agosto 2001, a Bergamo. Il suo corpo giace nella chiesa di Sant’Alessandro in Cattura a Bergamo, nella cappella dedicata a san Francesco d’Assisi. (Foto: Screenshot YouTube)
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