Il fenomeno delle nozze forzate raffrontato purtroppo raramente con l’attenzione che merita, nonostante tutto sia fuorché marginale, ogni giorno, 34.500 ragazze si sposano prima dei 18 anni, la grandissima parte non per loro volontà. Sono cose che di cui raramente si parla, ma che accadono anche in Europa. Nella sola Inghilterra si celebrano circa 1.500 di questi matrimoni ogni anno, poche settimane fa se ne sono scoperti una sessantina celebratisi in Catalogna negli ultimi quattro anni e la stessa Italia non si può ritenere al riparo da questa realtà, se si pensa che, solo tra il 2019 e il 2021, le forze dell’ordine hanno portato alla luce 24 di queste nozze, l’85% delle quali con vittime delle donne.
Inutile dire che tutti i casi che vengono scoperti rappresentano solo la punta dell’iceberg, rispetto a qualcosa che, purtroppo, è molto più ampio. Il punto è che, se i grandi media si occupano solo in modo saltuario di questa piaga, il mondo femminista – che dovrebbe essere in prima linea nel denunciarla – fa perfino di peggio: la snobba. È l’esplosivo j’accuse di Shirin Musa. Classe 1977, di origine pakistana e oggi attivista in Olanda con Femmes for Freedom, gruppo da lei fondato per i diritti delle donne. Si tratta di una che conosce bene le nozze forzate, essendoci passata: ha sposato un uomo olandese-pakistano, diventando la sua ottava moglie, ma lo ha scoperto solo quando è arrivata nei Paesi Bassi con le sue quattro figlie. Da qualche anno, Shirin Musa è una voce controcorrente.
Basti pensare che, nel 2020, rilasciò una intervista in cui disse apertamente che, nonostante l’attenzione prestata all’ingiustizia contro le persone di colore con il movimento Black Lives Matter, le storie di donne che vivono quello che ha passato lei a malapena ottengono l’attenzione dei media. «I redattori», disse, «fanno fatica a prestarci ascolto». Questo, appunto, due anni fa. Invece l’altro giorno Shirin Musa è tornata alla carica e, intervistata da Digital Freedom, rispetto al dramma delle nozze forzate ha chiamato in causa le responsabilità del femminismo che, ha detto, «preferisce guardare dall’altra parte». Secondo lei le femministe, «difendono solo i diritti delle donne autoctone, mentre alcune sono ossessionate dal velo e pensano che togliercelo sia la cosa più importante. Ma ci sono questioni ben più prioritarie, come il matrimonio forzato o le mutilazioni genitali».
Chiaramente il tema che solleva Shirin Musa, rispetto al doppiopesismo di un femminismo che dimentica in blocco – salvo lodevoli eccezioni – le donne vittima del fondamentalismo islamico, non è nuovo. Però sentirlo sollevato da un’attivista di origine straniera e che ancora porta il velo, ecco, fa un certo effetto. E costringe davvero ad interrogarsi sul fine che oggi, in Occidente, ha il movimento femminista: difendere i diritti di tutte le donne oppure fare semplicemente la guerra al maschio in nome dei diritti di alcune di esse? La differenza non è di lana caprina, anzi è abissale. E, se perfino donne di altre religioni iniziano a sottolinearla, significa che il tema non è più eludibile, per quanto i grandi media – che al femminismo sono assai vicini – tentino ancora di spingere la polvere sotto il tappeto.
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