Da quando la Corte Suprema degli Stati Uniti, con il verdetto del 24 giugno 2022 – che ha rovesciato la storica sentenza Roe v. Wade del 1973 -, ha stabilito che l’aborto non è un diritto costituzionale, il mondo politico liberal e progressista, ben supportato dai grandi media, si è messo prontamente all’opera su due fronti. Il primo è quello valoriale, richiamando il principio dell’autodeterminazione – su cui tutti concordano (peccato che l’aborto interessi almeno due soggetti e non uno); il secondo è quello della salute materna, con il divieto della pratica abortiva che potrebbe aumentare anche del 24%, è stato scritto le morti materne. Ma è proprio così? Non si direbbe.
I dati vanno infatti in un’altra direzione e raccontano come garantire l’accesso di aborto, anche se si investe in assistenza sanitaria, non sia affatto una garanzia per la donna. Qualche esempio? Negli Stati Uniti nel 2017 – quando l’osannata Roe v. Wade era quindi ancora al suo posto – si sono registrati 19 decessi materni ogni 100.000 nati vivi che, guardando all’Europa, è lo stesso dato della Moldavia. Ma l’ex repubblica sovietica è uno dei Paesi europei più poveri, dove all’assistenza sanitaria sono riservati appena 244 dollari a persona, mentre invece negli Usa quella somma arriva a 10.103 dollari.
Già questo confronto è quindi istruttivo. Ma c’è un dato che più ancora di questi prova come il divieto di aborto non sia affatto ostile alla salute della donna: quello della Polonia. La patria di Giovanni Paolo II, come noto, ha infatti una delle leggi più restrittive d’Europa sulla soppressione prenatale. Eppure, ciò nonostante, ha il più basso tasso di mortalità materna in Europa: appena due morti ogni 100.000 nascite. Non solo: sappiamo che è proprio dal 1993, quando l’aborto subì una stretta molto pesante, che il numero di aborto e il tasso di mortalità presero a diminuire in modo drastico.
Analogamente, resta illuminante il caso dell’Irlanda dove nel 2018 si è legalizzato l’aborto ma dove, vietandolo, nel 2005 si toccò la più bassa mortalità materna del mondo. Anche la ricerca scientifica conferma questi dati. Già nel 2012 su PLoS ONE, rivista ad elevato impatto scientifico, uscì un’analisi condotta su 50 anni di mortalità materna in Cile aveva mostrato come la proibizione legale dell’aborto – i cui rischi per la salute della donna sono consistenti – avesse condotto ad una riduzione delle donne morte. Anche gli studiosi che più recentemente si sono avvicinati al tema non hanno potuto che riconoscere l’infondatezza delle tesi abortiste.
Il medico e bioeticista Calum Miller, accademico dell’Università di Oxford, e autore di un recente articolo su questi temi uscito sul Journal of Medical Ethics, ha osservato come in «Ruanda, Olanda e Etiopia, la mortalità materna da aborto è cresciuta dopo la legalizzazione. Al contrario, in Paesi come Cile e Polonia, la mortalità continuò a diminuire anche dopo la criminalizzazione dell’aborto». Non c’è insomma solo il caso polacco a rafforzare la tesi che difendere la vita non minacci la donna. Tuttavia, il fatto che tale evidenza emerga con forza proprio nella patria di Wojtyla, il “Papa della Vita”, la rende una verità ancora più forte. Solo chi abbia i paraocchi può negarla.
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