IL TIMONE – Giugno 2010 (pag. 32-33)
di Laura BOCCENTI
La grande macchina della comunicazione mette in scena l’esibizione dell’intimità delle persone e perciò la dissoluzione dell’io. Spesso si pensa che la spudoratezza non sia un grave difetto, bensì una virtù coincidente con la sincerità
Dal “Grande Fratello” a “Forum”, per segnalare solo i programmi più noti e diffusi, a facebook, la grande macchina della comunicazione organizza lo svago di massa mettendo in scena l’esibizione dell’intimità delle persone, conseguendo ascolti elevati che confermano il gradimento del pubblico ed innescano un circolo vizioso che diffonde la pratica di rendere pubblico ciò che è intimo.
L’aspetto critico del costume che va così propagandosi non consiste soltanto nella volgarità del linguaggio o nell’oscenità degli atti, quanto nella persuasione sottintesa che la spudoratezza non sia un grave difetto, ma una virtù coincidente con la sincerità. Secondo questo modo di pensare, chi non ha nulla da nascondere non si vergogna di nulla; occultare qualcosa di sé, al contrario, sarebbe segno di una disposizione al male. Così, anche se non in modo esplicito, il pudore viene messo in stato d’accusa come espressione di finzione o, addirittura, come manifestazione di uno stato patologico di repressione.
E l’abolizione volontaria del pudore viene avvalorata come esito auspicabile, come manifestazione di schiettezza e coraggio.
La questione del pudore non è attinente solo alla sfera fisica, ma investe, più profondamente, la totalità della persona, perciò ogni sua falsificazione ha ricadute che riguardano il nucleo profondo dell’uomo.
Nella visione naturale e cristiana, la vergogna, o pudore, consiste essenzialmente in un’attitudine di difesa del proprio corpo in quanto espressione della persona e, in un senso più ampio, coincide con un sentimento di timore per l’esposizione della propria intimità profonda agli altri. Esso sorge per proteggere l’io e i suoi valori da ogni genere di spersonalizzazione e per questo il pudore tende istintivamente alla riservatezza: la persona, di fronte alla minaccia di essere guardata come un oggetto anonimo e senza volto, reagisce difendendo la propria soggettività con la vergogna.
La spudoratezza, il non vergognarsi di nulla, è invece trascuratezza della propria intimità e, alla fine, equivale alla dichiarazione di non avere un’intimità da proteggere.
Il capovolgimento del giudizio sul pudore risale alla rivoluzione culturale del Sessantotto, che, non a caso, è all’origine della rivoluzione sessuale come fenomeno di massa. Il Sessantotto ha trasformato profondamente i modi di vita, gli stili culturali e i comportamenti, puntando a instaurare un nuovo “senso comune”. Aspetti rilevanti della prassi rivoluzionaria inaugurata dal Sessantotto sono la diffusione, che raggiunge ogni comunità e ogni strato sociale, e la vastità, che arriva a colpire ogni ambito di trasmissione della tradizione, cioè ogni ambito educativo, principalmente attraverso la contestazione del principio di autorità.
L’affievolirsi dell’autorità, privando i giovani dell’insegnamento sulla verità e sul bene e lasciandoli soli ad affrontare le proprie pulsioni e l’incertezza, determinata da una situazione in cui tutte le prospettive si equivalgono, e dove, di conseguenza, nessuna scelta è giusta o sbagliata, pregiudica la costruzione dell’identità personale. Senza autorità di riferimento l’identità e l’interiorità si sviluppano in modo frammentario perchè la persona, da sola, non è in grado di attivare la dinamica della crescita interiore. La coscienza, infatti, raggiunge la maturità sviluppando progressivamente un concetto di sé adeguato alla realtà, una visione in cui l’autostima, cioè la consapevolezza del valore personale, è accompagnata dalla coscienza dei propri limiti. Questo processo non è scontato, ma esige la presenza di qualcuno capace di indicare a chi è giovane un progetto di realizzazione della propria umanità; perciò, il venir meno di una prospettiva di verità e di bene toglie agli adulti autorevolezza e priva i giovani di una meta a cui tendere.
Non potendo investire sul futuro, tutta l’energia e il desiderio si concentrano sul presente, che deve essere “consumato” con la massima intensità possibile. Si comprende quindi che l’esistenza contemporanea sia condotta all’insegna del consumo; la vita vera sembra quella che viene rappresentata in Tv dove i corpi sono giovani e levigati, le emozioni intense, le risorse apparentemente illimitate.
Tuttavia il consumo di sempre nuovi oggetti non appaga; gli oggetti infatti non corrispondono in modo soddisfacente al desiderio di felicità. Tale desiderio deriva dal bisogno, proprio dell’uomo, di essere “riconosciuto” da un altro uomo. Riconoscere l’altro significa apprezzarne il valore, avvedersi dell’altro come persona, e, attraverso questo sguardo, risvegliare la consapevolezza di colui che viene “guardato” operandone il suo consolidamento.
È solo nella relazione interpersonale che l’uomo, rispecchiandosi nell’immagine comunicata dall’altro, incontra se stesso.
Ma la crisi dell’autorità destituisce il riconoscimento di valore: se il contenuto della relazione educativa non consegna ai giovani uno scopo da realizzare come compito, non consegue il suo scopo principale, lasciandoli in balia degli interessi egoistici, dell’incertezza e del timore del fallimento.
L’avvilimento dell’uomo può diventare talmente insopportabile da spingerlo a fuggire dalla sua intimità con lo stordimento e l’annullamento della differenza tra interiorità ed esteriorità.
Soltanto chi ha trovato il proprio io all’interno di un progetto, che può accettare o rifiutare, diventa il custode della propria crescita umana e spirituale: in lui così il pudore, nel senso più ampio, diventa un valore capace di proteggere l’intimità della persona.
Ma perché questo possa avvenire, ognuno di noi ha bisogno di maestri.