I dati di diffusione del Covid-19, a livello italiano, europeo e mondiale, appaiono essere in continua crescita di giorno in giorno. Una situazione che, con variabili anche molto significative a seconda dei luoghi, comporta la messa in campo, da parte dei vari Governi, di misure atte al contenimento del contagio.
Tuttavia, a differenza dell’inverno scorso, quando la parola “coronavirus” comparve per la prima volta sui media di tutto il mondo, suscitando un timore diffuso, questa volta la gente – e, con essa, tutto il sistema – è arrivata all’autunno, e si prepara ad affrontare l’inverno, con un bagaglio di informazioni di certo migliore, seppure al netto dell’isteria comunicativa, presa tra fazioni che remano in direzioni spesso diametralmente opposte.
Accanto a questo, però, vi è un altro dato che non va ignorato: il perdurare di questa situazione di emergenza sanitaria dettata dal Covid-19, ha generato tutta un’altra serie di “emergenze”, che vengono tuttavia poco tenute in considerazione.
ALLARGARE LO SGUARDO
A richiamare l’attenzione su questo aspetto, tra gli altri, sono stati Martin Kulldorff, Sunetra Gupta e Jay Bhattacharya, che fanno ricerca e insegnano rispettivamente alle università di Harvard, Oxford e Stanford. Con la “Dichiarazione di Great Barrington”, pubblicata il 4 ottobre 2020, gli autori intendono consigliare un approccio differente dal lockdown nel contrasto al Covid-19, favorendo invece una «protezione focalizzata» nei confronti delle persone anziane o portatrici di malattie, ossia di quelle categorie che corrono un pericolo maggiore di salute nel caso in cui dovessero contrarre il virus. Questa loro proposta è stata accolta in maniera discordante dalla comunità scientifica, ma in questa sede non entreremo nel merito del dibattito perché quel che preme sottolineare è la motivazione portata a supporto della loro tesi: secondo quanto riportato dal Tagespost, infatti, i tre studiosi rilevano in una gestione “dura” del Covid «effetti devastanti sulla salute pubblica», come per esempio «tassi di vaccinazione più bassi nei bambini, peggioramento delle malattie cardiovascolari, meno esami di screening per il cancro e un deterioramento della salute mentale».
ALLA RICERCA DI UNA RESIDUA RESILIENZA
La questione appare evidente soprattutto per quanto riguarda il fatto che, di fronte al coronavirus, tutte le altre malattie o le altre buone prassi di prevenzione e di gestione dei pazienti sono state messe in secondo piano.
Meno manifesto è, invece, lo “stato di emergenza” in cui versa la nostra psiche, rispetto al quale – riporta in un altro pezzo sempre il Tagespost – «gli studi dimostrano che gran parte della nostra società è ora stanca, esausta, depressa e profondamente insicura». Tra i sintomi più ricorrenti si registrano un aumento significativo di «ansia e disturbi del sonno, depressione, violenza domestica, dipendenze e suicidi».
Naturalmente, non tutti ne sono colpiti allo stesso modo: l’età, il sesso, la condizione lavorativa, la stabilità di vita familiare, la sicurezza economica, la capacità/possibilità di mantenere relazioni sociali… sono i principali fattori che vanno a determinare il benessere psicologico. In queste variabili, ad ogni modo, una categoria sociale appare essere particolarmente sofferente, anche se poco considerata: i bambini, soprattutto nella fascia 3-6 anni, quando gli aspetti di socializzazione e di apprendimento esperienziale sono fondamentali. Tanti pedagogisti hanno provato a richiamare l’attenzione sui “diritti fondamentali” dei più piccoli e il fatto che gli studi dimostrino che «un buon clima familiare è la risorsa più importante per i bambini nell’attuale crisi» è una magra consolazione, perché il dato di realtà è che in molti casi questo “buon clima” non c’è. Solamente tra 15-20 anni, ad ogni modo, potremmo dire se effettivamente «i bambini sono quelli che si adattano meglio», come si sente ripetere qui e lì…
Che fare, dunque, per resistere? È ancora la scienza a fornire una possibile risposta: si è appurato, infatti, che «le persone che vedono uno scopo forte nella loro vita soffrono meno di stress psicologico» e che «coloro che si assumono la responsabilità degli altri durante la crisi di solito hanno più resilienza e maggiore ottimismo». Il che, tradotto in ottica di fede, lo si può leggere come un invito a una sequela sempre più fedele e piena al Signore.
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