Pubblichiamo ampi stralci della lezione magistrale tenuta dal cardinale Gerhard Ludwig Müller sabato 16 settembre alla festa del Timone a Staggia Senese (SI).
(…) Senza la percezione di un significato oggettivo ed originario per tutto ciò che lo circonda, e di un significato ultimo della realtà tutta, la vita stessa viene percepita dall'uomo come priva di punti cardinali di riferimento, finendo così per perdere la speranza di trovare una solida base al suo esistere, di una roccia sicura su cui costruire il suo mondo e ad a cui appoggiare tutte le relazioni che egli intreccia. Ed un senso di smarrimento e di solitudine inizierebbero ad accompagnare la sua esistenza.
Dio stesso è il significato, il Logos ultimo di tutto ciò che viviamo, in cui ci muoviamo e in cui esistiamo, come ci ricorda san Paolo (cf. At 17,28). Perciò Egli, ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza: perché potesse liberamente relazionarsi con lui. Ed ha voluto la ragione umana come il sigillo eminente di questa affinità relazionata, che si esprime anzitutto come esigenza di significato pregnante.
Dal significato ultimo e positivo di tutto, una certezza ragionevole e affidabile
(…) Senza la certezza che tutto è imbastito e intrecciato di solidi e originari significati e che alla sorgente di tutto vi è un bene inesauribile, basterebbero infatti le contraddizioni del vivere, l'esperienza dolorosa del male fisico e morale, fino a quella della morte, a incrinare e minare le basi della nostra speranza, della fiducia con cui guardiamo al futuro e costruiamo la nostra vita. Senza la certezza di un solido e positivo significato ultimo che a tutto soggiace, è quasi impossibile avere una ragionevole e robusta speranza.
Al massimo, ci rimarrebbe come possibilità o la faticosa ybris del tentativo – in verità prometeico e titanico – di essere noi coloro che conferiscono un significato al mondo: e questo mi sembra essere la strada imbroccata dall'uomo occidentale nella modernità, con tutti gli esiti riguardo alla speranza che sono sotto i nostri occhi. Vi è infatti chi, non a torto, ha definito questo uomo nello stesso tempo “sazio e disperato”.
Oppure, l’altra possibilità sarebbe il lasciarsi vivere in balìa delle circostanze. Qui vi è chi ha apostrofato l'uomo contemporaneo come “gaio e rassegnato”: un uomo che rimane, di fatto, indifferente alla sorte dei suoi fratelli uomini, preoccupato al massimo di stabilire e conservare relazioni “politicamente corrette”.
Richiamare tutto ciò mi sembra un primo ed importante contributo che la fede cristiana può e deve dare alla società odierna, grazie alla chiarezza sull'uomo e sul mondo che le provengono dalla Rivelazione che ha ricevuto in dono.
Riconoscendo un significato originario per ogni singolo essere che esiste e un Significato ultimo e positivo di tutto, l'uomo può sperare in un modo a lui consono, cioè in modo ragionevole e affidabile. Senza di ciò, è invece costretto inevitabilmente a ridurre la speranza a qualcosa di precario, che esce dalle sue sole mani, o di frammentario, che trova provvisoriamente qua e là mentre vive, accontentandosi di un desco momentaneo e di soddisfazioni non piene e non durature.
In primo luogo, ed in modo umile ma nello stesso tempo sincero e colmo di parresia, la Chiesa è chiamata a far presente quanto lei stessa riconosce necessario perché l'uomo possa sperare davvero. (…)
La Chiesa, Mater et Magistra
(…) Perciò la Chiesa può aiutare l'uomo solo quando è insieme ed inseparabilmente Mater et Magistra: verrebbe meno alla sua identità e missione se fosse l'una cosa senza l'altra, se non fosse ferma nel giudizio morale – non sugli uomini, nel cui cuore evidentemente può vedere solo Dio, ma sugli atti da loro compiuti! – e nello stesso tempo se non fosse anche una testimone misericordiosa – questo sì, con ciascun nostro fratello e sorella, cui siamo accomunati da una fragilità che non cessa di ferire la carne di noi tutti – che non si stanca di accompagnare con amore verso la verità e il bene. Sarebbe un errore imperdonabile per la Chiesa, venir meno in uno di questi due compiti che Le sono coessenziali.
Tutto ciò ci aiuta a comprendere perché la Chiesa, mentre ha il compito di testimoniare con umiltà e parresia quella vita nuova e positiva che la rende credibile agli uomini, e di cui l'ha dotata il suo Signore Risorto, ha anche quello di “annunciare sempre e dovunque i principi morali anche circa l'ordine sociale, e così pure pronunciare il giudizio su qualsiasi realtà umana” (Codice di Diritto Canonico, can. 747, § 2).
Ecco perché il magistero e la maternità della Chiesa si estendono anche a quei significati originari inscritti indelebilmente nella natura umana e che sono dote preziosa da riconoscere, accogliere, valorizzare e purificare, perché l'uomo corrisponda sempre più alla sua peculiare ed originale dignità. Si tratta di quei significati costitutivi che la tradizione, dagli autori classici fino all'epoca moderna, chiama legge morale “creaturale” o “naturale”. (…)
Il significato originario è venuto incontro all’uomo
(…) La speranza cristiana, con tutte le implicazioni che ne derivano e di cui abbiamo parlato finora, nasce anzitutto dall'annuncio e dall'esperienza vissuta che il destino e l'origine della vita non sono rimasti ad attenderci all'inizio e alla fine del tempo, ma ci sono venuti incontro, si sono fatti compagni alla nostra vita, sono entrati nella storia: con un nome ed un cognome, un volto ed un cuore pulsante. Questo volto si è fatto carico di tutto ciò che riguarda la nostra vita, nel bene e nel male: in Lui trova un eco ogni nostra aspettativa e gioia, come ogni angoscia e tristezza!
Anzi, Egli ha lasciato che il male si scagliasse su di Lui e lo annientasse, per creare un argine al male nella vita dell'uomo, e perché nulla potesse più separarci dalla vita buona, dalla vita pienamente umana che Lui è venuto a portarci. Ha dato e ridona, oggi stesso, la sua vita per me, perché se la mia libertà lo vuole, nulla possa più separarmi dal Bene, senza ombra di male, che Lui è. Tutto ciò, perché la mia vita, afferrandosi a Lui, possa non scivolare più nel nulla!
La sua persona e la sua opera, per realizzare tutto questo, sono divenute una possibilità contemporanea all'uomo di ogni tempo e luogo. Tutto ciò Egli ha compiuto, ed ancora oggi compie, nel suo continuo passaggio e far passare dalla morte alla vita, mediante la sua Pasqua. Egli si chiama Gesù Cristo.
Ancora oggi possiamo rapportarci a Lui, entrare in rapporto vitale con Lui, grazie ai suoi amici e testimoni, grazie alla Chiesa e a tutto ciò che la Chiesa ci insegna e ci dona di buono e di vero. Egli è il Vivente ed è Lui la nostra speranza!
Questa speranza è il deposito prezioso, dato "una volta per tutte" – come dice il Nuovo testamento nella lettera agli Ebrei (cf. 7,27) – che la Chiesa, dagli Apostoli in poi custodisce, tramanda e di generazione in generazione, vive e comprende sempre più. In Lui vi è tutto ciò che la Chiesa “perpetua e trasmette a tutte le generazioni”, “tutto ciò che essa è e tutto ciò che essa crede” (Dei verbum, n. 8).
Questo è l'autentico tesoro che la Chiesa porta nascosto fra le sue povere membra, e che lascia intravedere anche attraverso le sue innumerevoli ferite. Questa è “la perla preziosa” di cui parla il Vangelo (cf. Mt 13,46): è la ricchezza che la Chiesa ha da offrire al mondo.
Sperare è ampliare gli orizzonti dell’umano
Solo se l’uomo accetta di allargare la sua razionalità oltre la vista corta del momento, dei beni materiali e dell’immanenza, verso il mondo dei significati originari ed indelebili che lo costituiscono, fino al significato originario e ultimo in cui ragione e amore coincidono, egli riesce ad ampliare anche gli orizzonti della sua umanità; ed a costruire società in cui la scienza, il diritto, la politica e l’economia non si rivolgono contro di lui bensì a vantaggio reale del bene di ciascun uomo e di tutti gli uomini. Solo così egli può uscire da quell’antinomia che altrimenti finirebbe per contrapporre sempre il bene della singola persona e quello “comune”.
In fondo, potremmo dire che compito primario della Chiesa, di fronte alla società e in ogni ambito, oltre a quello di sovvenire con sollecitudine i bisogni e le ferite dell’uomo, proprio per prevenire quei bisogni e quelle ferite – aperte in continuazione da sistemi organizzati non a favore di tutto l’uomo e di tutti gli uomini – è quello di ampliare gli orizzonti dell’umano, allargando in continuazione i confini della sua razionalità.
La presenza dello stesso Signore Risorto nella sua Chiesa è un continuo invito ad allargare gli orizzonti, verso una meta che sta sempre “più in là”, che trascende ogni confine e limite umano, verso quei traguardi che Lui, come Signore della Storia, tiene aperti agli uomini di buona volontà.
Questo è uno dei principali contributi che la Chiesa è chiamata ad offrire all’uomo e alla società di ogni tempo, che essa offre alla speranza stessa dell’uomo e senza di cui ogni opera sociale della Chiesa, pur meritoria, sarebbe solo un rincorrere situazioni e stare al seguito di agende dettate da altri. Essa, cioè, sarebbe sempre in ritardo rispetto al kairos da cui la chiama il Signore del tempo e della storia.
“Per sperare occorre aver ricevuto una grande grazia” (C. Péguy, Il portico del mistero della seconda virtù): per sperare occorre esser consapevoli di aver ricevuto un grande dono. La Chiesa sa che, non per suo merito, è depositaria del Dono con cui è chiamata ad allargare in continuazione i suoi confini e quelli dell’uomo di ogni tempo e luogo. Un dono fatto di razionalità ed amore, di verità e di misericordia, che ha lo scopo di servire l’uomo, cioè di aiutarlo a guardare al presente con fiducia costruttiva e al futuro con una speranza ragionevole e affidabile. Questo è il positivo contributo della Chiesa alle nostre società, a quello splendido e faticoso “mestiere” che è il nostro con-vivere umano.