Il cardinale tedesco Gehrard Ludwig Müller, prefetto emerito della Congregazione per la dottrina della fede, ha rilasciato una lunga intervista per Cna Deutsch all’avvocato e scrittore Lothar C. Rilinger. Il tema affrontato nel dialogo è quello del diritto alla vita, con particolare attenzione alla questione dell’eutanasia attiva, che da concetto fino a qualche decennio fa rigettato su larga scala, negli ultimi anni ha iniziato a farsi sempre più strada come eventualità possibile nell’ambito del dibattito pubblico e nella mentalità di molti.
Innanzitutto il cardinale, interrogato circa il diritto alla vita, ne chiarisce inequivocabilmente la natura intrinseca a ogni essere umano, che non viene conferita dall’esterno: «Ogni Stato», afferma infatti, «perverte l’autorità limitata che ha in materia di bene comune quando i governanti delle sue fortune si comportano da tiranni e si lasciano adorare come dei. Perché il vero Dio, come è creduto nella tradizione giudaico-cristiana, è il generoso Creatore della vita che garantisce la libertà. Stabilisce anche la dignità inalienabile di ogni singolo essere umano, predestinandolo alla salvezza eterna». E prosegue: «I diritti fondamentali devono derivare dalla natura razionale dell’essere umano e non possono essere decretati positivamente e arbitrariamente “dall’alto”, dal potere statale, secondo una decisione a maggioranza o sotto dettatura di un’oligarchia dominante. La “classe politico-mediatica” non può prescrivere ciò che i filosofi devono pensare e ciò che i credenti – tuttora – possono confessare. La sottile uniformità di convinzioni e opinioni nella vita religiosa, intellettuale e morale evoca anche il pericolo di una dittatura totalitaria in veste moderna».
Il discorso si sposta quindi sul Quinto comandamento, che recita: «Non uccidere». Rispetto a questo, Müller chiarisce che possono essere contemplate delle eccezioni, come è stato per la pena di morte ed è per l’autodifesa, ma si tratta di condizioni-limite che vanno valutate con attenzione e, in ogni caso, «l’uccisione della vita umana è sempre un atto che non può essere intrapreso senza conflitto». Allargando quindi il ragionamento, il cardinale propone una visione differente da quella della vulgata comune che li vede come costrizioni pressoché inutili, sui Dieci comandamenti: «Il Decalogo biblico», afferma, «riflette la fede di Israele in Dio Creatore della vita e liberatore dalla schiavitù disumana. Ma le esigenze dei “Dieci Comandamenti” sono comprensibili come legge morale naturale per ogni persona ragionevole, perché il contrario significherebbe il crollo di tutta l’umanità. Senza questi principi si finisce con la legge del più forte, cioè il trionfo del potere sul bene o l’assoggettamento della verità alle menzogne della propaganda».
Di qui, il passaggio al tema dell’eutanasia. Parola che, evidenzia Müller, «suona eufemistica come “la buona morte”, che ci libera dal dolore e dalle paure e in generale dai tormenti dell’esistenza terrena, nonché dalla necessità di far fronte alla nostra contingenza». Ma che nella realtà vuol dire ben altro, mentre «l’aiuto veramente filantropico per un morente consiste nel rispettare la sua dignità di persona nell’ultima fase della vita, nell’incoraggiarlo nella sua paura». E questo a diversi livelli: con il sostegno umano e spirituale che possono fornire i parenti, o i sacerdoti di Cristo, ma anche con il supporto medico di alleviare le sofferenze. Al contrario, uccidere deliberatamente e consapevolmente una persona si configura, per il cardiale, come «il peggior assalto alla sua dignità, perché gli viene fatto intendere che non esiste come persona fine a se stessa e che è amata da noi, ma solo in quanto è utile alla società. Gli viene fatto capire che sarà smaltito come materiale usato. E perfidamente si pretende da lui anche il consenso suicida per non voler più essere un peso inutile per i suoi simili».
Un discorso, questo, valido anche per l’aborto, con l’unica differenza che in tal caso il piccolo nel grembo materno non ha voce. Aborto che Müller non esita a definire un «orribile crimine», che apre le porte alle barbarie e che di fatto è «il peggior attacco suicida dello Stato di diritto su se stesso».
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