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Il card. Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, apre al «controllo delle nascite»
NEWS 11 Dicembre 2015    

Il card. Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, apre al «controllo delle nascite»

di Riccardo Cascioli

 

Lo scorso 28 aprile eravamo stati facili profeti, titolando un articolo «La Chiesa si prepara ad accettare il controllo delle nascite». L’affermazione nasceva da dichiarazioni e convegni promossi dal Pontificio Consiglio Giustizia e Pace alla vigilia della pubblicazione dell’enciclica Laudato Si’, in cui il cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio di cui sopra, faceva professione di adesione completa all’ideologia dello “sviluppo sostenibile”, peraltro entrata a pieno titolo nell’enciclica stessa.

Ora, in occasione della Conferenza di Parigi sul Clima (COP 21)  il cardinale Turkson ha fatto un ulteriore passo in avanti in quella direzione affermando in una intervista alla BBC che – recita il titolo – «il controllo delle nascite può offrire una “soluzione” per il clima». Turkson è stato intervistato dall’emittente britannica dopo che alla COP 21, a nome della Santa Sede, aveva pronunciato un discorso eco-catastrofista in nulla distinguibile dalle posizioni di WWF e Greenpeace. Secondo quanto riportato dalla BBC, il cardinale Turkson si è spinto a sostenere che «il controllo delle nascite può alleviare alcuni degli impatti dei cambiamenti climatici, particolarmente la mancanza di cibo in un mondo più caldo». È il rovesciamento della posizione che la Chiesa ha sempre avuto a difesa della persona umana, mai sacrificabile in nome di qualsiasi problema.

Turkson – evidentemente improvvisando – ha affermato inoltre che «la Chiesa non è mai stata contraria al controllo delle nascite e alla decisione delle persone di distanziare le nascite». E anche papa Francesco, ha aggiunto, «nel suo viaggio di ritorno dalle Filippine ha invitato le persone a una qualche forma di controllo delle nascite», con chiaro riferimento alla controversa battuta sul «non fare figli come conigli». Pressato a questo punto sui metodi di controllo delle nascite, il cardinale ghanese ha detto che comunque leciti sono soltanto i metodi naturali e non quelli artificiali.

Si tratta di affermazioni per certi versi choccanti, ma a dire il vero neanche troppo sorprendenti viste le premesse, e malgrado nell’enciclica Laudato si’ si critichi chi pensa di risolvere i problemi ambientali riducendo la natalità. Anzi, citando il Compendio di Dottrina Sociale della Chiesa, papa Francesco afferma nell’enciclica che «la crescita demografica è pienamente compatibile con uno sviluppo integrale e solidale» (no. 50).

Eppure questa fuga in avanti del cardinale Turcson non è sorprendente perché una volta che si fa proprio l’approccio di un problema, piaccia o no si è costretti a sposarne anche le conseguenze. Cerchiamo di spiegarci: la vera, grande novità della Laudato si’ sta nell’adozione del concetto di “sviluppo sostenibile”, che nasce proprio per dimostrare l’impatto negativo che la popolazione ha su sviluppo e ambiente. Il concetto è stato codificato nel Rapporto della Commissione Brundtland (su sviluppo e ambiente), pubblicato nel 1987: Our Common Future, Il nostro futuro comune. Lo “sviluppo sostenibile” così concepito (siamo nell’ambito dell’ONU) pone il controllo delle nascite nei paesi poveri come uno dei due pilastri di ogni politica ambientale (l’altro è lo stop al consumo e allo sviluppo dei paesi industrializzati). La premessa da cui parte il Rapporto Brundtland, che oggi trova piena attuazione, è una concezione dell’uomo come solo divoratore di risorse, che sarebbero sempre più scarse; da qui la necessità di intervenire drasticamente per limitare l’impatto della popolazione sia quantitativo sia qualitativo.

Date le premesse e l’analisi (sbagliata) sul rapporto tra popolazione e risorse, e quindi la presunta urgenza di intervento, è ovvio che la conseguenza è quella di usare tutti i mezzi possibili: contraccezione e aborto diventano quindi strumenti inevitabili di “sviluppo sostenibile”. A livello di agenzie delle Nazioni Unite questo è dato per scontato ed è anche il motivo per cui in Africa è molto più facile trovare preservativi e contraccettivi vari piuttosto che disinfettanti intestinali o antibiotici. Adottare il concetto di “sviluppo sostenibile” pensando poi di porre dei paletti riguardo gli interventi sui programmi di controllo della popolazione, è perciò un esercizio più che altro moralistico destinato a essere travolto. 

E infatti il cardinale Turcson non è riuscito a evitare di fare quel passo in avanti che è nella logica delle cose, e si è trovato anzi in difficoltà a spiegare perché a questo punto non si possano usare anche i metodi artificiali: se si è davvero convinti che siamo sull’orlo del baratro, come si fa a creare problemi per un pezzo di lattice? E del resto, dopo che tanti vescovi hanno sostenuto al Sinodo sulla famiglia che è impossibile la continenza («vivere come fratello e sorella»), come si fa a proporla per evitare l’Aids e le gravidanze indesiderate?

Ecco dunque che in fatto di ambiente e demografia la Chiesa si è cacciata in un vicolo cieco; per la gioia di prelati e intellettuali che spingono per arrivare alle estreme conseguenze cancellando, in nome dell’ambiente e della conversione ecologica, la morale sessuale tradizionale, la Humanae Vitae e la Familiaris Consortio.

Se questo è il nodo della questione, nelle parole del cardinale Turcson alla BBC ci sono anche diversi clamorosi errori, che sarebbe ora troppo lungo esaminare. Ci limitiamo al più grave, quando cioè egli afferma che la Chiesa non è mai stata contraria al controllo delle nascite. Tale affermazione è aberrante e indica peraltro una grave ignoranza del significato delle parole, non solo dal punto di vista del catechismo ma anche – e in questo caso soprattutto – per il valore che hanno certi concetti nei documenti internazionali.

Anzitutto, la Chiesa ha sempre parlato di «procreazione responsabile», ma che non mette in discussione che la fecondità sia «un fine del matrimonio» e che «qualsiasi atto matrimoniale deve rimanere aperto per sé alla trasmissione della vita» (no. 2366). Detto questo, «per validi motivi gli sposi possono voler distanziare le nascite dei loro figli. Devono però verificare che il loro desiderio non sia frutto di egoismo, ma sia conforme alla giusta generosità di una paternità responsabile. Inoltre regoleranno il loro comportamento secondo i criteri oggettivi della moralità» (no. 2368). E qui entrano in gioco i metodi naturali, che però sono sì un metodo di regolazione della fertilità ma non possono avere scopo contraccettivo, perché «è intrinsecamente cattiva ogni azione che, o in previsione dell'atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione» (no. 2370).

Se questo è ciò che la Chiesa insegna, in campo internazionale la Santa Sede si è trovata a dover fare i conti con un linguaggio totalmente diverso. È vero allora che la Santa Sede nei negoziati per i vari documenti ONU tradizionalmente non si è opposta all’uso del concetto di “pianificazione familiare”, ma in quanto veniva letto nel significato di “procreazione responsabile”, e in ogni caso attribuendo alle coppie la libertà di scegliere quanti figli avere e quando. Ma negli anni ’90 del XX secolo il concetto di “pianificazione familiare”, nei documenti dell’ONU è stato via via inteso come sinonimo di “controllo delle nascite”: vale a dire si è trasformato in diritto degli Stati di stabilire quanti figli una coppia può avere. Del resto fin dalla sua origine, il concetto di “controllo delle nascite” ha avuto un significato anche coercitivo.

In nessun caso quindi – tanto più in sede internazionale – può essere usato questo termine per indicare la regolazione della fertilità secondo il criterio della procreazione responsabile. Che il presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace usi questi concetti con tanta disinvoltura è allora segno o di profonda