Se osserviamo l’arte antica, dall’Acropoli di Atene, al teatro di Epidauro, sino alle cattedrali romaniche e gotiche, possiamo notare come queste opere siano «sorte in simbiosi con la natura circostante, dal momento che l’uomo plasmava per le sue creazioni la materia che trovava, senza arrecarle violenza». Di fronte ad esse non si è mai «assaliti da un senso di inquietante impotenza, ma, al contrario, ci si sente reintegrati in una dimensione sapientemente a misura d’uomo» (M. Taufer, Caput anguli, Segno).
Scrive J. Roth, nel suo Le città bianche: «mi resi conto che l’uomo di fronte ad un anfiteatro colossale resta pur sempre uomo, mentre al cospetto di un grattacielo si riduce a formica… La grandezza romana non è titanica, ma umana».
Aspirazione dell’uomo antico, come di quello medievale, infatti, è un’arte che integra nella natura, che ispira un senso di comunità, che spinge l’individuo ad elevarsi, umilmente, verso il cielo, attraverso un cammino che porti dalle bellezze sensibili alle bellezze dello spirito. Niente dunque di titanico, di orgoglioso, di ribelle. Il mito dei titani e di Prometeo, invece, diventa notevole a partire dal Settecento, quando l’uomo comincia, appunto, a voler effettuare la sua scalata solitaria ed autonoma al cielo.
Così il primo grande dittatore della storia, Napoleone, viene accostato a Prometeo in molte opere letterarie di quegli anni. Per i più arditi, come il poeta Rapisardi, Prometeo diviene il volto attraente di Satana, il simbolo della ribellione “eroica” a Dio. Una sorta di “complesso titanico” è presente in genere nella cultura di quest’epoca.
L’arte ne è dimostrazione evidente, specie in Francia, patria della rivoluzione francese, del positivismo, e del laicismo più agguerrito. Si pensi al monumento simbolo della città di Parigi. Siamo nel 1889, nel centenario della rivoluzione, e nella capitale di Francia viene organizzata l’Esposizione Universale, la pomposa parata, già nell’aggettivo che la qualifica, delle meravigliose produzioni dell’uomo e del suo divinizzato Ingegno. L’architetto Gustave Eiffel viene invitato a realizzare un’opera di cui possiamo ancor oggi lodare l’abilità tecnica, l’utilizzo sapiente dei materiali, l’arditezza dello slancio, e che con la sua leggerezza sembra richiamare, come scriverà Hans Sedlmayer, l’idea di una «secolarizzazione del gotico».
Una torre scagliata verso il cielo, titanica, prometeica, simbolo delle illimitate possibilità della Ragione e del Progresso; illuminata, in cima, per irradiare di nuova luce Parigi. Di fronte ad essa l’uomo, l’individuo, la persona nel senso cristiano, dotata di anima individuale ed immortale, cede, annichilita, come dinanzi ai grattacieli di Roth.
Non si eleva ma sbigottisce, e, al tempo stesso, presume. Cent’anni dopo la torre Eiffel, un presidente socialista, fortemente attratto dall’esoterismo, Francois Mitterrand, rispolvera vecchi progetti di alcuni architetti dell’età della rivoluzione, che volevano innalzare una grande piramide, legata al culto dell’Ente Supremo di Robespierre: non più il culto dell’uomo, e della Dea ragione, ma una costruzione sacrale, che richiami la magia e gli antichi misteri egizi, così amati dalla massoneria e dal “laico” Napoleone, durante e dopo il suo viaggio in Egitto.
Sorge così, nel 1989, la piramide del Luovre, simbolica, per la sua forma e per il suo essere composta, ufficialmente, di 666 pannelli: si aggiunge ad un altro “talismano” egizio, l’obelisco innalzato in place de la Concorde, già piazza della ghigliottina, nel 1836, sotto Luigi Filippo. Sempre a Parigi, nello stesso 1989, viene costruito anche il grande Arche de la Fraternitè alla Defense. Si tratta di un immenso cubo, titanico e grottesco, definito dal suo architetto come «un moderno Arco di Trionfo, per celebrare la gloria del trionfo dell’umanità», ma descritto, nella guida ufficiale, come qualcosa che «evoca il senso del sacro…paragonabile alle piramidi d’Egitto».
Accanto all’Arco, nei disegni di Mitterrand, doveva elevarsi anche un grattacielo di quattrocento metri, chiamato addirittura “la Tour Sans Fin”: una vera e propria torre di Babele, ancor più di quella di Eiffel, che avrebbe dovuto apparire trasparente, alla sommità, così da scomparire alla vista! La Torre non verrà poi realizzata, ma la sua progettazione è l’ennesima testimonianza, insieme alla Torre Eiffel e all’egittomania di Parigi, della convivenza, nelle culture atee moderne, del razionalismo coll’irrazionalismo, dell’ateismo dichiarato con le più disparate forme, professate in “segreto”, di spiritualismo esoterico. Anche a Parigi, nota solamente, ai profani, come capitale della laicità.