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I media dicano quel che vogliono, ma, fatti quattro conti, al Sinodo gli aperturisti hanno perso
news
27 Ottobre 2015

I media dicano quel che vogliono, ma, fatti quattro conti, al Sinodo gli aperturisti hanno perso

di Marco Tosatti

 

Abbiamo ricevuto la lettera di una persona esperta di numeri, matematica, percentuali e lettura delle stesse che ci offre un’interpretazione interessante della recente votazione sulla Relazione Finale al Sinodo dei vescovi. E’ interessante, perché offre un’interpretazione completamente diversa da quella finora accreditata su chi ha votato pro e/o contro, e perché. E l’immagine che ne esce è profondamente diversa dal panorama corrente. E che sposta l’interesse dal tema dei divorziati risposati a quello delle unioni omosessuali e sull’ideologia gender, dove il testo è molto netto, con grande maggioranza di consensi.

L’autore, che come abbiamo detto è un esperto di questi temi, fa riferimento ai risultati pubblicati dal sito ufficiale della Santa Sede .    

Ma ecco il testo:  

“Se si analizza il voto per paragrafi, si nota che, indubbiamente, i padri sinodali che si sono opposti alle formule non sono stati pochi (il massimo è il 31% di “no” sul par. 85). Tuttavia, siamo lontanissimi dalla spaccatura che i media riportano, quando affermano che sul tema dei divorziati risposati il testo è passato per un solo voto. Ebbene, che significa che meno di un terzo dei padri ha votato “no” ? Che la frangia vittoriosa dei “si” è proprio quella dei “conservatori”, ossia di coloro che hanno voluto un testo che non dicesse proprio nulla di nuovo rispetto al magistero (è stato giustamente richiamata la “Familiaris consortio”, che viene riproposta nei paragrafi 84 e 85).  (N.D.R. E forse sulla stessa linea può essere letta la dichiarazione del card. Pell, secondo cui è significativo che nel testo non si parli assolutamente di comunione).   

Che l’ala della “discontinuità” sia uscita sconfitta e abbia, scontenta, votato “no” lo si capisce se si va a vedere quali sono gli altri paragrafi rispetto ai quali il dissenso è alto e supera il 10%. Si tratta, anzitutto, del paragrafo 76, che ha messo una pesante pietra tombale sulla “via ecclesiale” all’ideologia “gender” e sulle ipotizzate aperture della Chiesa alla ideologia “gay”.   

Siccome è un paragrafo lapidario e radicale, è matematico che quel 14% di no sia venuto tutto dall’ala “aperturista”. Possiamo dunque assumere che il 31% di no al paragrafo 85 ed il 27% di no al paragrafo 84 siano costituiti per circa metà, del dissenso manifestato da coloro che non hanno digerito il paragrafo 76. La restante metà, è fatta in parte, ancora una volta, da “aperturisti delusi” e in piccola parte da quei padri conservatori che, pur approvando la sostanza dei paragrafi 84 e 85, hanno però disapprovato il fatto che il loro senso non sia stato più chiaramente esplicitato, per evitare che taluni possano maliziosamente o involontariamente fraintenderlo.   

Come faccio ad affermare ciò ? Lo faccio analizzando il voto relativo al paragrafo 86. Il paragrafo 86, infatti, è la chiave per leggere correttamente il n. 84 ed il n. 85, laddove esso prescrive che “..siccome nella legge non vi è gradualità…” allora occorre che “..il discernimento non possa prescindere dalle esigenze di verità e di carità del Vangelo…”. Si tratta di dottrina tradizionale allo stato puro, che i più preoccupati tra i conservatori dell’effetto mediatico, volevano fosse inserita nel corpo del n. 85, per evitare che coloro che, nell’epoca di Twitter, non riescono a leggere più di dieci righe alla volta, non cadessero nell’equivoco o non “ci marciassero” (come diciamo a Roma).

 

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