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I legionari martiri di Sebaste. «Per noi esiste una sola vita: la morte per Cristo»
NEWS 1 Agosto 2016    

I legionari martiri di Sebaste. «Per noi esiste una sola vita: la morte per Cristo»

da L'Ortodossia in rete

 

Quando il crudele Licinio (308-323), che era stato associato all'imperatore san Costantino mise termine alla dissimulazione e ruppe l'intesa con lui, pubblicò degli editti contro i cristiani e inviò in tutte le province dei magistrati incaricati di eseguire i suoi ordini, mettendo a morte tutti coloro che non volevano piegarsi. Il governatore designato per la Cappadocia e la Piccola Armenia, Agricolao, era uno dei più zelanti esecutori degli editti di persecuzione e aveva convocato nella città in cui risiedeva, Sebaste, la dodicesima legione imperiale, guidata dal comandante Lisia e soprannominata Fulminante.

Quaranta soldati di questa legione, uomini giovani, esperti e stimati, si rifiutarono di sacrificare agli idoli dell'impero e si dichiararono cristiani. Originari di luoghi diversi, ma uniti come se fossero un solo uomo nella fede e nella carità, si presentarono, uno alla volta, davanti al governatore, allo stesso modo degli atleti quando si iscrivono nel giorno del combattimento, rinunciando alla loro vera identità e dicendo: "Sono Cristiano!" Agricolao, inizialmente, cercò di convincerli con dolcezza, lodando le loro particolari imprese e promettendo favori da parte dell'imperatore qualora si fossero sottomessi ai suoi ordine. I santi gli risposero per mezzo della voce di uno solo di loro: "Se, come tu dici, abbiamo combattuto valorosamente per l'imperatore della terra, con quanto più ardore combatteremo per il Sovrano dell'Universo. Poiché per noi esiste una sola vita: la morte per Cristo". Gettati in prigione, in attesa di comparire nuovamente, i valorosi combattenti della pietà caddero in ginocchio, pregando il Signore di mantenerli saldi nella vera fede e di fortificarli nel combattimento. Mentre trascorrevano la notte cantando salmi, il Cristo apparve loro e disse: "Avete iniziato bene, ma la corona sarà concessa soltanto a chi resisterà sino alla fine".

Il giorno dopo, comparvero nuovamente davanti al governatore che tentò di conquistarli con le lusinghe; ma uno dei santi martiri, Candido, denunciò la sua falsa dolcezza, scatenando così l'ira del tiranno. Tuttavia, non potendo fare niente contro di loro, sino al momento del giudizio che doveva essere espresso dal comandante Lisia, Agricolao li condusse nuovamente in prigione. Dopo sette giorni, giunto Lisia a Sebaste, li fece comparire al suo cospetto. Strada facendo, Cirione incoraggiava i suoi compagni, dicendo: "Abbiamo tre nemici: il diavolo, Lisia e il governatore. Cosa possono fare contro di noi che siamo quaranta soldati di Gesù Cristo?" Vista la loro audacia, Lisia ordinò che fossero loro frantumati i denti a colpi di pietra. Ma quando i soldati si scagliarono contro i santi martiri, furono accecati dalla potenza divina e, nella confusione, si colpirono tra di loro. Lisia, preso dall'ira, afferrò una pietra e volle lanciarla sui santi ma questa colpì il governatore, ferendolo gravemente. Nella notte, i martiri furono ricondotti in prigione, nell'attesa di scegliere la pena da infliggere loro.

Riunendo le risorse della sua immaginazione perversa, il governatore ordinò di denudarli e di lasciarli così sul lago ghiacciato che era nei pressi della città, affinché patissero una orribile morte, tra le molte sofferenze causate dal gelo. Per rendere ancora più crudele il supplizio, pensò di porre, come ultima tentazione, un rimedio per le loro pene, facendo preparare, sulle rive del lago, un bagno d'acqua calda affinché chi abbandonasse il lago potesse trovare, immediatamente, un certo sollievo.

Appena fu nota la sentenza, i santi fecero a gara a chi, per primo, deponeva la veste, dicendo: "Deponendo queste vesti, rigettiamo anche l'uomo vecchio! Perché, a causa dell'inganno del serpente, un tempo, rivestimmo le tuniche di pelle; dunque, denudiamoci adesso per ottenere il Paradiso perduto! Cosa possiamo offrire in cambio al Signore per ciò che ha sofferto a causa della nostra salvezza? Un tempo, i soldati Lo hanno denudato; spogliamoci, quindi, perché tutto l'ordine militare ottenga il perdono! Il freddo è rigoroso, ma il Paradiso è dolce! Manteniamo la pazienza per pochi istanti, per essere, in seguito, riscaldati nel seno di Abramo. Accettiamo la gioia eterna in cambio di una breve notte di tormenti. Poiché, comunque, questo corpo corruttibile deve perire; accettiamo adesso di morire volontariamente per vivere in eterno! Ricevi, Signore, questo olocausto, che il freddo, e non il fuoco, sta per consumare!"

Incoraggiandosi vicendevolmente, i santi quaranta martiri avanzarono come un solo uomo sul ghiaccio, senza subire altra costrizione che non fosse la propria volontà e, durante tutta la notte, sopportarono la crudele morsa del vento, particolarmente gelido in questa regione, pregando il Signore che da quaranta combattenti ne uscissero quaranta vittoriosi, senza che nessuno venisse meno a tale numero sacro, simbolo della pienezza. Mentre la notte avanzava, i loro corpi iniziavano ad indurirsi e il sangue a gelare nelle vene, provocando loro un terribile dolore al cuore. Uno dei martiri, vinto dal dolore, lasciò il lago e si precipitò verso il bagno surriscaldato. Tuttavia, l'improvviso sbalzo di temperatura lo fece morire all'istante, privandolo della corona della vittoria. Gli altri trentanove, addolorati della caduta del loro compagno, rinvigorirono la preghiera mentre una grande luce attraversava il cielo, fermandosi al di sopra del lago e riscaldando i santi martiri. Alcuni Angeli discesero dalla volta celeste per porre sulle loro teste trentanove splendide corone. Davanti a tale meraviglia, uno delle guardie, Aglaio, che si stava scaldando presso il bagno, ebbe la coscienza illuminata dalla fede. Vedendo che una quarantesima corona restava sospesa nell'aria come se attendesse qualcuno per completare il numero degli eletti, svegliò i suoi compagni d'armi, gettò loro le proprie vesti e avanzò frettolosamente sul ghiaccio per raggiungere i martiri, gridando che anche lui era cristiano.

Quando, il mattino dopo, Agricolao venne a conoscenza dell'accaduto, ordinò di trarre fuori i santi dal lago e di finirli, rompendo loro le gambe. Infine, comandò di gettare i corpi nel fuoco affinché non restasse alcuna traccia del loro glorioso combattimento. Come venivano condotti verso l'ultimo supplizio, i gloriosi martiri cantavano: "Siamo passati attraverso il fuoco e l'acqua, ma Tu ci hai tratti fuori, Signore, per darci il refrigerio." (Pr. 65, 12)

Dopo aver eseguito il loro compito, i boia caricarono i corpi dei martiri su di un carro e li condussero al rogo. Si accorsero allora che il più giovane del gruppo, Melitone, era ancora vivo e cercarono di convincerlo a rinnegare Cristo. Ma sua madre, avendo assistito allo spettacolo del martirio, prese in braccio il figlio e lo depose sul carro insieme agli altri corpi, dicendogli: "Non rimanere privo della corona, figlio mio caro, raggiungi i tuoi compagni per gioire della luce eterna che dissiperà la mia afflizione." Quindi, senza spargere una lacrima, accompagnò il carro sino al rogo, con volto pieno di gioia.

Seguendo gli ordini del governatore, i soldati dispersero le ceneri dei martiri e gettarono le ossa nel fiume, ma nel giro di tre giorni, i santi apparvero in visione al vescovo di Sebaste, Pietro, e gli indicarono il luogo del fiume che nascondeva le loro reliquie. In seguito, le reliquie dei Quaranta Martiri furono distribuite in molti luoghi e il loro culto si diffuse soprattutto grazie alla famiglia di san Basilio che fece dedicare loro una chiesa ed un monastero, diretto da santa Macrina. San Basilio e san Gregorio di Nissa pronunciarono memorabili discorsi in loro onore.

La notte che precedette il martirio, i santi dettarono le ultime volontà sotto forma di esortazione ad un giovane schiavo, Eunoico, che fu testimone dei loro combattimenti e riuscì a fuggire ai persecutori: Trasmise questo memorabile testo alla posterità e si curò, in seguito, del santuario dove erano deposte le loro reliquie. In questo testamento sono iscritti i nomi dei Quaranta combattenti: Isichio, Melitone, Eraclio, Smaragdo, Domno, Eunoico, Valente, Vibiano, Candido, Prisco, Teodulo, Eutichio, Giovanni, Xantio, Eliano, Sisinnio, Cirione, Aezio, Aggia, Flavio, Acacio, Ecdicio, Lisimaco, Alessandro, Elia, Gorgonio, Eutichio, Atanasio, Cirillo, Sacerdote, Nicola, Valerio, Filottemone, Severiano, Ludione e Aglaio.