«Questa mattina la redazione ha letto con grande perplessità un racconto pubblicato sulle pagine della Cultura del nostro giornale, a firma del padre dell’editore (John Elkann, ndr). Considerata la missione storica che si è data “Repubblica” sin dal primo editoriale di Eugenio Scalfari, missione confermata anche ultimamente nel nuovo piano editoriale dove si parla di un giornale “identitario” vicino ai diritti dei più deboli, e forti anche delle reazioni raccolte e ricevute dalle colleghe e dai colleghi, ci dissociamo dai contenuti classisti contenuti nello scritto […] dequalificano il lavoro di tutte e tutti noi, imperniato su passione, impegno e uno sforzo di umiltà».
Il mea culpa di Repubblica non è tardato ad arrivare, dopo l’articolo a firma di Alain Elkann in cui lo stesso descriveva il suo viaggio in treno da Roma a Foggia, nella prima classe di un Italo affollato, mostrandosi scandalizzato per il comportamento dei giovani rumorosi e ignoranti, suoi compagni di viaggio, arrivando a definirli “lanzichenecchi”. Un articolo in cui, evidentemente. il classismo serpeggiante non ha lasciato indifferente il popolo della rete che ha sommerso Repubblica di critiche, costringendo il giornale a fare dietrofront. E così arrivò il giorno in cui assistemmo anche alla dissociazione di Repubblica da sé stessa (!) che evidentemente avrà capito di averla fatta fuori dal vaso, più del solito!
Ma l’episodio, battute a parte, desta una domanda: che altro tipo di sguardo si sarebbe potuto avere di fronte ad un gruppo di giovani chiassosi, non proprio delle educande nel linguaggio e veicolanti una cultura priva di valori? L’alternativa allo snobismo di Alain Elkann c’è, ed è la posizione che in una situazione simile, assunse don Giussani di fronte allo smarrimento esistenziale di un gruppo di ragazzi che incontrò anche lui su un treno. Anche lui aveva accanto dei giovani. Anche i suoi giovani erano ignoranti e derisori. Ma anziché descriverli per condannarli, Giussani fece tutt’altro: studiò un modo per mostrare loro Chi sia la via, la verità e la vita. E da quell’incontro egli gettò le basi per quella che sarebbe diventata CL.
«La prima volta che mi è venuta l’idea di “fare qualche cosa” – dice Giussani-[il suo racconto si può ritrovare in Realtà e giovinezza. La sfida. Religione. Società Editrice Internazionale, Torino ndr] – ero in treno, andavo da Milano a Rimini e ho incontrato alcuni ragazzi; mi sono messo a discutere con loro e li ho trovati totalmente ignoranti di religione e di cristianesimo; il loro scetticismo, il loro atteggiamento derisorio, la loro miscredenza non faceva rabbia, ma pena, perché nasceva evidentemente da una ignoranza: È stato questo contatto che ha fatto venire a me la “rabbia” perché conoscessero, perché sapessero di più, fossero in più a sapere quello che a me era stato dato».
Uno sguardo, quello del “Giuss”, non di distanza, quindi, ma al contrario, di presa in carico di un disagio, di un vuoto profondo, che non ha portato, lo stesso, a scandalizzarsi e basta, ma a lasciarsi toccare così profondamente da fondare un Movimento. E un Movimento, come Comunione e Liberazione, in cui poter affrontare seriamente, a partire dai più giovani, quella sete di Giustizia, Bellezza e Verità alla base del “senso religioso” che alberga in ognuno, non inteso in senso univocamente dottrinale, ma come stoffa di cui è fatto l’umano, proiettando le domande sulla vita, dei giovani che partecipavano agli incontri o anche semplicemente di quelli che Giussani incontrava sul suo cammino, insieme a loro, verso un orizzonte di senso.
Tra i destinatari del metodo dialogico e del messaggio del fondatore di CL, anche gli alunni del liceo Berchet di Milano, di cui fu insegnante per anni. Ne scrive lui stesso, continuando il suo racconto del famoso incontro sul treno: «Ricordo, come se fosse adesso, l’istante in cui per la prima volta sono entrato al liceo Berchet di Milano. C’erano quattro gradini, dal marciapiede all’ingresso; mentre li salivo dicevo: “Che cosa vengo a fare? Per che cosa vengo qui? Per dire a questi ragazzi quello che io ho sentito e ho capito. Perché senza capire quello che io ho capito e sentire quello che io ho sentito, non riesco a comprendere come si faccia a vivere”».
Dunque una spinta evangelizzatrice, attraverso la cultura e il retto uso della ragione che ricorda tanto le parole di Pietro e Giovanni negli Atti degli apostoli: «Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato», che parte dal farsi carico di una “mancanza” proprio da parte di chi, avendo oggettivamente ricevuto di più (come probabilmente anche nel caso Alain Elkann) non si limita a scuotersi semplicemente di dosso il “fastidio” verso tanto “disagio” ed “ignoranza” vomitandone un po’ su una pagina di giornale, ma lo trasforma in un perno, forte della propria preparazione e dei tanti doni ricevuti dalla vita, per cambiare anche la vita degli altri. (Fonte foto: Imagoeconomica/ Bing)
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