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I funerali di Licio Gelli, Piergiorgio Welby e Vittorio Casamonica. Una guida per orientarsi
NEWS 30 Dicembre 2015    

I funerali di Licio Gelli, Piergiorgio Welby e Vittorio Casamonica. Una guida per orientarsi

Dopo la morte di Licio Gelli, ex gran maestro della loggia massonica P2, avvenuta nei giorni scorsi, molti opinionisti si sono scandalizzati per i funerali religiosi concessi, osservando che lo stesso non avvenne per Piergiorgio Welby, morto nel dicembre del 2006 dopo una grave e lunga malattia, a cui venne staccato il respiratore che lo teneva in vita.

La questione in realtà è già stata chiarita più volte, lo sanno bene i promotori di queste puntuali polemiche, interessati non tanto ad una risposta ma semplicemente a tenere sotto fuoco la Chiesa e contemporaneamente sperare di calendarizzare in Parlamento una legge sull’eutanasia. Ad essi si è aggiunto il prete mediatico Mauro Leonardi, da buon narciso sempre ossessionato dal numero di like e condivisioni dei suoi post più delle intenzioni per le messe.

Riprendiamo le motivazioni espresse alla stampa dal sacerdote che ha celebrato i funerali di Gelli (senza alcun simbolo massonico): «A me ha detto che si è convertito e che alla fine ha rinnegato la massoneria. Altrimenti sarebbe stato scomunicato e niente funerali in chiesa». Anche durante l’omelia del funerale, don Bargellini, ha spiegato: «Ha avuto una lunga vita, Licio, e le lunghe vite sono grandi occasioni per capire che non siamo onnipotenti, ma siamo fragili e di riconoscere i nostri errori. Dio ci permette un cammino di conversione, di verità, quella del Vangelo. Ognuno di noi è chiamato a vedere il volto del Signore». Per Gelli si parla dunque di conversione e rinnegamento della massoneria. Falsità? Bugia? Chi ha l’arroganza e le prove per smentire e giudicare con quale pensieri e riflessioni intime è morto quest’uomo? Certo, era scomunicato in quanto appartenente la Massoneria, ma anche gli scomunicati se rinnegano le loro colpe possono ricevere le esequie.

Caso diverso, invece, quello di Piergiorgio Welby. La Chiesa ha un diritto canonico che regola la questione sacramenti per i defunti, come ha ricordato il professor Vincenzo Pacillo, associato di diritto ecclesiastico presso l’Università di Modena. Il canone 1007 del Codice di Diritto Canonico (CDC), infatti, proibisce il conferimento dell’Unzione degli infermi a «coloro che ostinatamente perseverano in un peccato grave manifesto». Peccato manifesto che si riverbera anche sulla disciplina delle Esequie ecclesiali: «Se prima della morte i peccatori manifesti non diedero alcun segno di pentimento, devono essere privati delle esequie ecclesiastiche» (can. 1184, 1, 3° CDC). «Presentandosi qualche dubbio, si consulti l’Ordinario» (can. 1184, 2). «A chi è escluso dalle esequie ecclesiastiche, deve essere negata anche ogni Messa esequiale» (can. 1185 CDC)

Mentre il confessore di Gelli ha rilevato il suo pentimento e il rinnegamento della Massoneria, questo non accadde per Welby il quale pretese lucidamente fino all’ultimo di essere privato della vita, contrapponendosi alla dottrina cattolica, invocando oltretutto una legge politica sull’eutanasia. Come si legge nel comunicato della Diocesi di Roma, «il Vicariato di Roma precisa di non aver potuto concedere tali esequie perché, a differenza dai casi di suicidio nei quali si presume la mancanza delle condizioni di piena avvertenza e deliberato consenso, era nota, in quanto ripetutamente e pubblicamente affermata, la volontà del Dott. Welby di porre fine alla propria vita, ciò che contrasta con la dottrina cattolica (vedi il Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 2276-2283; 2324-2325). Non vengono meno però la preghiera della Chiesa per l’eterna salvezza del defunto e la partecipazione al dolore dei congiunti». Così come confermato in seguito anche dal card. Camillo Ruini, mentre il card. Ersilio Tonini ha ancor meglio precisato: «se fosse stato soltanto suicidio, la Chiesa ha pietà infinita perché nessuno di noi sa cosa accade in quel momento. Quel che non è ammesso è se il suicidio è studiato al fine di favorire una legge sull’eutanasia». Infatti, ha proseguito mons. Tonini, «Piergiorgio Welby non ha avuto diritto a funerali cattolici perché il suo suicidio è stato concepito e realizzato con l’obiettivo di promuovere una legge sull’eutanasia». Con tanto di lettera al presidente Napolitano.

Occorre anche considerare che la Chiesa è la prima ad essere contraria all’accanimento terapeutico, si legge infatti nel Catechismo: «L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’accanimento terapeutico. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente».

E il funerale di i Vittorio Casamonica, legato ad affari malavitosi e criminali? Innanzitutto occorre osservare che non ha mai riportato condanne penali a titolo personale, inoltre, come ha affermato il prete anti-mafia don Luigi Ciotti, «non è qui ovviamente in discussione il diritto di una famiglia di celebrare i funerali di un suo membro e la partecipazione di amici e conoscenti: grave è l’evidente strumentalizzazione di un rito religioso per rafforzare prestigio e posizioni di potere». Il problema, infatti, fu la strumentalizzazione del funerale. Lo ha chiarito monsignor Giuseppe Marciante, vescovo ausiliare di Roma Est, dove è compresa la parrocchia di San Giovanni Bosco dove sono state celebrate le esequie: «Il Vicariato non era stato avvertito. Lo sapeva solo il parroco, ma non sapeva che dietro ci sarebbe stata quella propaganda mafiosa. Nessuno ci ha avvisati, nemmeno le forze dell’ordine. Certo, se avessimo avuto il sentore di uno show di quel tipo, avremmo preso delle precauzioni. Non avremmo assolutamente accettato di fare quel funerale. Avremmo suggerito una preghiera in casa oppure sempre in casa si sarebbe potuto celebrare il rito della raccomandazione dei defunti. Per farle un esempio, ricorda il caso Priebke? La Chiesa risponde di ciò che succede dentro la chiesa, non può rispondere di ciò che succede fuori. Del resto i Casamonica non avevano chiesto nessun permesso per fare quel tipo di manifestazione e non possiamo fare i gendarmi, facciamo i pastori. In chiesa si sono attenuti a quelle norme di sobrietà».

Concludendo, quelli di Gelli e di Welby sono due casi completamente diversi, ingiusto paragonarli e confrontarli. Così come fu legittimo per Welby manifestare platealmente le sue richieste e usare la propria morte come riteneva giusto fare, così fu legittimo per la Diocesi di Roma non concedere i funerali a chi dimostra lucidamente e deliberatamente di non accettare la posizione della Chiesa. E’ anche una forma di rispetto per le sue idee e convinzioni espresse più volte con chiarezza. Ricordando che nessuno è obbligato ad essere cattolico, facciamo infatti presente che probabilmente Piergiorgio nemmeno desiderava essere sepolto con benedizione cattolica.

Quello di Welby fu un doloroso caso estremo, parliamo tuttavia di scelta legittima a rifiutare i funerali e non tanto di giustezza poiché fu una decisione dolorosa presa dai responsabili del Vicariato di Roma in un preciso momento, in un preciso contesto. «Quel funerale», ha spiegato il teologo Silvano Sirboni, «sarebbe stato un palcoscenico su cui dare pubblicità a posizioni sull’eutanasia inaccettabili. Non fu un atto dettato dalla dottrina ma da ragioni di opportunità. Fu una decisione dolorosa, effetto delle polemiche che avevano preceduto il caso. Sarebbe stato ben diverso, ne sono certo, se quella morte non fosse stata strumentalizzata dalla politica». La decisione della Chiesa va rispettata in quanto lecita e coerente con il diritto canonico, così come ancor di più va rispettato il dolore, la sofferenza e l’agonia di Welby, anche se non ci sembra legittimo usare la sua vita e la sua morte come bandiera politica (anche se lui stesso sarebbe stato d’accordo). «Proposta in nome della pietà e della dignità umana», ha spiegato il laico Claudio Magris, «l’eutanasia può divenire facilmente un’obbrobriosa anche se inconscia igiene sociale. Piergiorgio Welby ha liberamente, consapevolmente chiesto di morire. Qualsiasi filosofia o religione si professi, non si può non essere scossi da questa sua volontà e non sentirla vicina […]. Si può rispettare un gesto compiuto contro la legge che lo vieta, ma senza per questo voler spianare la strada alla trasgressione delle leggi vigenti, favorendo così un caos feroce».