«Nel suo complesso, la visita ha anche permesso di esaminare alcune prospettive per continuare la collaborazione umanitaria ed aprire cammini per la tanto auspicata pace» nel conflitto russo-ucraino. Sono condensante in queste ultime due righe del comunicato della Sala stampa vaticana le finalità del viaggio che il cardinale Matteo Zuppi ha svolto a Mosca in questi giorni.
Il viaggio in Russia del presidente della Cei, nonché storico membro della Comunità di Sant’Egidio, è collocato nella scia dell’incarico di messaggero di pace che Zuppi ha ricevuto dal Papa e che nel 2023 lo aveva già portato a Kiev (5-6 giugno), a Mosca (28-29 giugno), a Washington (17-19 luglio) e a Pechino (13-15 settembre).
Dal 14-16 ottobre in Russia questa volta Zuppi ha incontrato Sergey Lavrov, Ministro degli Affari Esteri, Yuri Ushakov, Consigliere del Presidente della Federazione Russa per gli affari di politica estera, Marija Lvova-Belova, Commissaria alla presidenza per i diritti del bambino, Tatiana Moskalkova, Commissario presidenziale per i diritti umani. Inoltre, visita ecumenica dove ha incontrato «il metropolita Antonij di Volokolamsk, presidente del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Mosca, con il quale si è intrattenuto su varie questioni, in particolare quelle di carattere umanitario».
La sottolineatura del carattere umanitario della visita connota in qualche modo la missione di inviato papale di Zuppi, che oltre al tanto auspicato dialogo per la pace qui cerca soluzioni concrete per prigionieri e il ricongiungimento familiare dei bambini ucraini. L’aspetto più strettamente diplomatico potrebbe sembrare in secondo piano, sebbene, in modo significativo, il cardinale fosse accompagnato anche da un officiale della Segreteria di Stato.
La missione di Zuppi, e più in generale l’atteggiamento di Francesco, è ritenuta troppo vicina alla Russia, troppo “equilibrata”, come se non ci fosse un aggressore e un aggredito. In particolare questo è sentito non solo dal presidente Zelensky, ma anche dai fedeli greco-cattolici e dal loro arcivescovo maggiore monsignor Shevchuk che non ha mancato di farlo sapere al Papa stesso in una recente udienza del 10 ottobre.
Nel grande incontro internazionale che la Comunità di Sant’Egidio ha organizzato a Parigi in settembre (Immaginare la pace), il delegato dei greco-cattolici, Yuris Pidlisnyy, ha lamentato che il suo intervento fosse stato non valorizzato e ha sottolineato come anche il “cessate il fuoco” sia una prospettiva ingenua capace solo di far riorganizzare i russi. Insomma, Zuppi e Sant’Egidio per gli ucraini e per i fedeli greco-cattolici ucraini (e anche per i polacchi e i vescovi polacchi) pari sono e sono troppo, per così dire, accondiscendenti con «l’aggressore».
Ma la Santa Sede lavora anche all’altro canale diplomatico, quello portato avanti più direttamente dalla Segreteria di Stato e dal cardinale Pietro Parolin. Non che si perda la linea dell’equilibrio che Francesco ha sempre indicato in tutti i conflitti, ma l’azione della Terza Loggia appare su una linea più vicina all’Ucraina, come ha mostrato l’importante visita che Parolin ha svolto proprio in Ucraina nel luglio scorso.
Tutto questo per dire che forse il lavorio su due canali di dialogo aperti dal Vaticano potrà sembrare poco fruttuoso, magari scoordinato anche rispetto a vecchi equilibri intracuriali, eppure emerge in un contesto così tragico come un sottile spazio aperto con tutti gli interlocutori. È poco, ma rispetto al nulla e alle bombe che continuano a cadere in testa alla gente è già tanto.
(Foto Ansa)
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