La notizia sta, da qualche giorno, facendo il giro del mondo: la Corte suprema intende votare per annullare la sentenza del 1973 che garantisce il libero accesso all’ aborto in tutto il territorio americano. Lo ha rivelato il sito statunitense Politico che ha ottenuto in esclusiva una prima bozza di sentenza. Come si legge nel documento, che tuttavia, non rappresenta la decisione finale della Corte, scritto dal giudice associato Samuel Alito:
«È tempo di dare ascolto alla Costituzione e restituire la questione dell’aborto ai rappresentanti eletti del popolo». Ovvero, l’intenzione della Corte è quella di annullare la Roe v. Wade, restituendo al popolo, attraverso i parlamenti dei singoli Stati, il potere di darsi le leggi che desiderano in tema di aborto.
Ma c’è una notizia nella notizia: in seguito a questo, diversi colossi dell’economia si stanno mobilitando, per influenzare, attraverso i loro ingenti finanziamenti, di fatto, l’etica e collaborando, in ultima analisi ad aggirare le leggi. Jeff Bezos, fondatore e presidente di Amazon, ad esempio, ha dichiarato che pagherà fino a 4.000 dollari, ogni anno, di spese di viaggio, ai suoi dipendenti, per trattamenti medici non disponibili entro le 100 miglia di distanza, trattamenti nei quali rientra, ha sottolineato, anche l’interruzione di gravidanza.
C’è di più, perché un crescente numero di marchi, sta seguendo la stessa direzione. Come Levi’s e la nostrana casa di moda Gucci, che già nel maggio del 2019, in passerella aveva mandato chiari messaggi sulla sua posizione in merito all’aborto, facendo sfilare capi con uteri ricamati e l’inequivocabile messaggio «My Body, My Choice» sulla schiena. Per questo, la maison, ha fatto sapere con una nota che “l’azienda fornirà il rimborso delle spese di viaggio a qualsiasi dipendente negli Stati Uniti che abbia bisogno di accedere all’assistenza sanitaria non disponibile nel proprio Stato”.
Inoltre, attraverso la fondazione Chime for Change, Gucci continuerà a sostenere organizzazioni partner che «facilitano l’accesso alla salute riproduttiva e proteggono i diritti umani, specialmente per le persone piu’ vulnerabili» Insomma, l’accesso all’aborto inserito, di fatto, tra i benefit aziendali, come se fosse un’attrattiva e non una scelta di morte. Come un buono pasto.
D’accordo, ma a quale scopo? Quello, forse, di aumentare la produttività delle lavoratrici una volta liberatesi del “peso” del bambino? E a quale prezzo? O, forse, un altro modo per continuare il processo di banalizzazione di un’esperienza così traumatica per la donna e ancora di più per il bambino? Un processo, peraltro, già ampiamente avviato nella nostra società, presentando, per di più, in questo caso, l’interruzione di gravidanza, come un’opzione qualunque e non come una scelta che ti cambia la vita e soprattutto cambia la vita di un altro.
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