di Gelsomino Del Guercio
su «Aleteia»
Processo diocesano concluso. Negli uffici della Curia di Agrigento, sul tavolo del cardinale Francesco Montenegro è di fatto completata «l’istruttoria» del procedimento, iniziata nel 2011, che potrebbero portare alla beatificazione del giudice Rosario Livatino, originario di Canicattì (La Sicilia, 27 luglio).
Il 25 luglio a Milano, il locale Tribunale Ecclesiastico ha effettuato l’«interrogatorio» dell’ultimo testimone che ebbe il privilegio di conoscere il magistrato ucciso dalla Mafia. Una testimonianza attesa da mesi e per la quale è stato necessario attendere più del previsto.
VENTI TESTIMONIANZE
Il «faldone» adesso è chiuso, fa sapere sempre La Sicilia, e nelle prossime settimane il cardinale Montenegro lo porterà personalmente o chi per lui in Vaticano.
Tutti i documenti e la ventina di testimonianze raccolte dal Tribunale ecclesiastico di Agrigento presieduto da don Lillo Argento, tra le quali quelle di una donna guarita da un presunto miracolo e di alcuni avvocati di Agrigento e Canicattì, che nella loro attività professionale hanno avuto modo di confrontarsi con Livatino, saranno passati al setaccio.
IL CUGINO POSTULATORE
A curare la postulazione della Causa di canonizzazione è don Giuseppe Livatino, cugino del magistrato. Entro l’anno il materiale raccolto sarà al vaglio della Sacra Congregazione per le cause dei Santi a Roma, per la valutazione finale circa l’eroicità delle virtù del Servo di Dio.
GUARIGIONI INSPIEGABILI
Tra i presunti miracoli attribuiti all’intercessione di Livatino, una storia arriva dalla Puglia. La donna in questione ha 50 anni ed era affetta da leucemia e guarita, a suo dire, grazie all’apparizione del giudice.
Non è la prima volta che accade un evento del genere, un altro caso è infatti quello del 1993 con un’altra donna donna, Elena Valdetara Canale, che era affetta da una leucemia che l’avrebbe condotta secondo i medici a morire entro un anno e mezzo. La malattia aveva portato la donna, dopo 3 anni, al punto di non essere autosufficiente, fino a quando un giorno gli apparve su un giornale la foto del “giudice ragazzino”, da quel giorno le condizioni della signora Valdetara Canale cominciarono a ristabilizzarsi fino ad arrivare alla guarigione (Live Sicilia, settembre 2013).
SENZA SCORTA
Laureatosi a soli 22 anni in giurisprudenza, il “giudice ragazzino”, così come era stato soprannominato per la sua giovane età, era entrato subito nel mondo del lavoro vincendo il concorso per vicedirettore in prova presso la sede dell’Ufficio del Registro di Agrigento dove restò dall’1 dicembre 1977 al 17 luglio 1978.
Aveva superato infatti un concorso in magistratura diventando uditore giudiziario a Caltanissetta. Livatino fu ucciso, in un agguato mafioso la mattina del 21 settembre sul viadotto Gasena, lungo la strada statale 640 Agrigento-Caltanissetta, mentre – senza scorta, con la sua Ford Fiesta amaranto – si recava in Tribunale.
LA TANGENTOPOLI SICILIANA
Per la sua morte sono stati individuati, grazie al supertestimone Pietro Ivano Nava, i componenti del commando omicida e i mandanti che sono stati tutti condannati in tre diversi processi nei vari gradi di giudizio all’ergastolo, con pene ridotte per i “collaboranti”. Nella sua attività Livatino si era occupato di quella che sarebbe esplosa come la Tangentopoli siciliana ed aveva messo a segno numerosi colpi nei confronti della mafia, attraverso lo strumento della confisca dei beni (La Sicilia, 21 settembre 2016)