Il messaggio di padre James Martin causa confusione. A dirlo è monsignor Charles Chaput, che ha scritto su Catholic Philly dopo un intervento di Martin alla Saint Joseph’s University, ateneo gesuita di Filadelfia, dove l’autore di Building a Bridge ha affrontato i temi del suo libro sull’omosessualità. Dopo aver chiesto ai fedeli di non cadere negli attacchi personali al sacerdote, Chaput ha detto di apprezzare gli sforzi di Martin «nel sottolineare la dignità delle persone», precisando tuttavia che una certa «ambiguità» nei suoi insegnamenti ne mina gli obiettivi dichiarati e perciò il gesuita «non parla con autorità a nome della Chiesa».
L’obiezione principale avanzata dall’arcivescovo di Filadelfia è l’etichettatura che Martin fa delle persone «secondo la loro attrazione e disforia, chiedendo l’uso dell’espressione “Cattolici LGBT” nei documenti e nel linguaggio della Chiesa». Ma ciò è in contrasto con la dottrina cattolica, che insegna l’unità della persona, non riducibile agli «appetiti sessuali». La nostra identità, invece, «si trova in Gesù Cristo», essendo creati «a immagine e somiglianza di Dio e chiamati a essere figli e figlie di Dio».
Chaput ricorda quindi che nessuno nasce gay e ogni idea che la persona possa avere un comportamento predeterminato, annullando l’intelletto e la libera volontà, «è sia falsa che distruttiva».
Martin travisa l’insegnamento della Chiesa anche quando sostiene che il Catechismo, designando l’inclinazione omosessuale come «oggettivamente disordinata», sia crudele. Infatti, spiega Chaput, questo «non significa dire che la persona nel suo insieme è disordinata. Né significa che uno è stato respinto da Dio o dalla Chiesa». Invece, il disordine riguarda quella particolare inclinazione che «non è ordinata verso il compimento dei fini naturali della sessualità umana» e, se assecondata, «non può contribuire al vero bene della persona».
L’arcivescovo ricorda che il sacerdote gesuita gioca sul filo del dire di non voler cambiare l’insegnamento della Chiesa, omettendone allo stesso tempo dei punti essenziali. Così, quando le persone si sentono dire che «la Chiesa accoglie i gay», senza venire anche ammaestrati sul fatto che Gesù chiama tutti a vivere una vita casta, «possono facilmente fraintendere la natura della conversione e discepolato cristiani». Questa omissione è un danno per coloro che sono attratti da persone dello stesso sesso: «Loro meritano di sentire – come tutti – la verità sulla sessualità umana pronunciata in modo chiaro e convinto».
Le parole di Chaput hanno trovato il pronto appoggio del vescovo di Springfield, Thomas Paprocki, il quale ha scritto che «la missione della Chiesa verso questi fratelli e sorelle è la stessa che verso tutti i suoi fedeli: guidare, incoraggiare e sostenere ognuno di noi nella battaglia cristiana per la virtù, la santificazione e la purezza».
E pronta è arrivata anche la risposta di padre Martin, che si è giustificato dicendo di non concentrarsi sull’insegnamento della morale cattolica in materia perché «i cattolici LGBT» hanno sentito questo insegnamento «ripetutamente». Invece, lui vuole «incoraggiare i cattolici a vedere le persone LGBT come più che semplici esseri sessuali, a vederle nella loro totalità». È chiaro che il prete gesuita non vede la contraddizione in cui cade, essendo proprio lui, di nuovo, a usare l’etichetta di «cattolici LGBT», che riduce la persona al suo istinto sessuale. Come se ne esce? Come indica ancora Chaput nella controrisposta, spiegando che il punto non è «non sfidare» ciò che la Chiesa insegna, ma essere lieti di insegnare ciò che la Sposa di Cristo crede. Perché «la verità biblica libera».
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