Il 23 novembre del 1980 una scossa di magnitudo 6.8 Richter sconvolse un vasto territorio, tra Campania e Basilicata. L’area più colpita fu il cuore dell’Irpinia, in provincia di Avellino, ma danni gravi si registrarono anche nelle province di Potenza, Napoli e Salerno. Il sisma, secondo le stime più accreditate, causò quasi 3000 vittime, 9000 feriti e circa 300mila senzatetto.
Oggi in quei territori la ricostruzione è quasi completata, ma la ricorrenza del quarantesimo anniversario restituisce ricordi dolorosi. Non solo per i lutti e le macerie che quel terremoto provocò: ma anche per i gemiti e i lamenti che nei giorni successivi al terremoto continuarono a salire dalle rovine a causa dei ritardi nei soccorsi, che l’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini denunciò con voce alta e fermissima.
«Non vi sono stati i soccorsi immediati che avrebbero dovuto esserci. Ancora dalle macerie si levavano gemiti, grida di disperazione di sepolti vivi»
(Sandro Pertini al TG2 Studio Aperto del 25 novembre 1980)
Giovanni Paolo II, arrivò subito in Campania ed in Basilicata a pregare per tutte le vittime. I cittadini di Balvano, (PZ), videro passare il Papa che si avviava a piedi verso l’unica piazza del paese, dove era crollato il campanile dell’unica chiesa presente causando 77 morti, la maggioranza, 66 di loro, composta da ragazzi e ragazze del coro, che stavano cantando per la Messa. Interi nuclei familiari rimasero senza casa, sradicati e lasciati in attesa dei nuovi alloggi di edilizia popolare che nel frattempo venivano edificati nelle periferie grazie alla legge 219 per la ricostruzione. Legge alla quale si deve la nascita di casermoni nei rioni di Scampia, Ponticelli, Miano, Secondigliano a Napoli, il Parco Verde di Caivano, il rione Salicelle di Afragola, Monteruscello a Pozzuoli. Alloggi-tugurio spesso imbottiti d’amianto.
Durante la sua visita, due giorni dopo il terremoto, Giovanni Paolo II disse parole che si adattano in un certo senso anche a questi nostri tempi, attraversati dalla pandemia e dal lockdown, in cui molti si chiedono il senso di tutto questo e della loro vita:
«Qualcuno mi ha detto: “Ma questa gente non può più pregare”. La mia risposta è questa: “Voi, carissimi, pregate con la vostra sofferenza”. E spero, sono convinto, che voi pregate più di tanti altri che pregano, perché portate dinanzi al Signore questa vostra grandissima sofferenza, queste vostre vittime, specialmente le vittime rappresentate dai giovani, dai bambini, che sono morti nella chiesa»… «Sono venuto per dirvi che vi sto vicino. Cristo ha detto all’apostolo Pietro: “Conferma i tuoi fratelli”. Non posso confermarvi con le mie forze umane, con le mie possibilità umane, ma posso confermarvi, nel senso che possiamo insieme trovare la forza di Gesù, nella nostra fede e nella nostra speranza, nella sua carità che è maggiore di tutte le sofferenze e anche della morte, perché anche con la morte questa sua carità ci apre la prospettiva della vita».
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