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26.12.2024

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«Gettare la spugna dell’educazione in famiglia è il preambolo di tutti i disastri educativi»
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1 Ottobre 2021

«Gettare la spugna dell’educazione in famiglia è il preambolo di tutti i disastri educativi»

Oggi si fa un gran parlare di educazione: le voci del “pedagogista” o della “tata”, solo ora in parte soppiantate da quelle dei “virologi”, sono ormai pane quotidiano per chi ha a che fare con bambini e ragazzi, quantomeno per i genitori e coloro che sono impegnati in ambito educativo. E questo in quanto l’attenzione per il mondo dell’infanzia e dell’adolescenza, supportata sulle ali di una maggiore consapevolezza rispetto all’importanza e alla delicatezza di queste prime fasi di vita, è decisamente maggiore rispetto a un tempo.

Ma se tutto questo è positivo, è altrettanto vero che nel mare magnum delle opinioni ascoltate o lette sul web, portate avanti con maggiore o minore autorevolezza, può risultare difficile orientarsi, con il risultato che spesso a vincere è la confusione, unita a una umanissima e comprensibile debolezza che può portare ad affidarsi al “si è sempre fatto così” o a replicare il proprio copione educativo. Insomma, pur idealmente sospinte dai migliori intenti, spesso le proposte educative istituzionali, ancora più che quanto avviene nelle singole famiglie, appaiono ancora “legato al palo” di pratiche oramai superate a livello teorico, ma ancora concrete nella pratica. Con il risultato che spesso risulta difficile per i genitori scegliere e fidarsi del mondo educativo e scolastico cui consegnano i propri figli anche per molte ore al giorno.

E va proprio nella direzione di aiutare i genitori in questo delicato processo che va l’ultima fatica libraria di Catherine L’Ecuyer, scritta sotto forma di romanzo per garantire una maggiore accessibilità e “leggerezza”, Conversazioni con la mia maestra. Dubbi e certezze sull’educazione (Espasa, 2021). Nota a livello internazionale, questa canadese di nascita ma spagnola d’adozione, mamma di quattro, con un dottorato in pedagogia e psicologia a fare curriculum assieme a importanti collaborazioni a livello internazionale, è nota anche per i suoi libri, tra i quali spicca Educare allo stupore, uscito in Italia nel 2013 e oramai giunto alla trentesima edizione.

Ebbene, in una lunga intervista rilasciata a Religion En Libertad, la L’Ecuyer parte da una considerazione tanto banale, quanto oggi (volutamente?) dimenticata, ossia che «i genitori sono i primi educatori dei loro figli. In quanto tali, hanno il diritto prevalente di scegliere, anche nel campo dell’istruzione, un tipo di educazione che sia la continuazione del loro progetto familiare I genitori sono i primi educatori dei loro figli. In quanto tali, hanno il diritto prevalente di scegliere, anche nel campo dell’istruzione, un tipo di educazione che sia la continuazione del loro progetto familiare».

Una cosa più facile a dirsi che a farsi, però, alla luce del fatto che «i metodi educativi utilizzati nelle scuole non sono mai neutri, <bensì> si basano su specifiche correnti filosofico-educative» e che spesso orientarsi risulta complicato.

Correnti che la ricercatrice racchiude in tre gruppi: quella meccanicista, che vede un’infanzia passiva, considerata un contenitore da riempire; quella romantico-idealista, oggi dominante e con Rousseau come precursore poco noto ma ancora oggi molto influente, che pone al centro il bambino e il sentimentalismo; e quella classico-realista, che considera il fine dell’educazione il bambino stesso, e che oggi attira molto i genitori ma è poco presente nel mondo dell’istruzione vero e proprio.

Nel mondo dell’istruzione, poi, incide molto la politica, con continui cambiamenti che quasi mai tengono in considerazione i principi che si vogliono portare avanti, ma che invece hanno come focus il fatto che nelle loro mani ci sono i cittadini del domani, da plasmare secondo un preciso indirizzo politico. Invece, sostiene la L’Ecuyer, «l’educazione classica ha come obiettivo lo sviluppo della personalità del bambino, l’acquisizione delle virtù, la trasmissione della cultura… […] Il fine dell’educazione non è esclusivamente sociale, è personale». E gli ingredienti su cui costruire tutto questo si rifanno a concetti ormai desueti, se non osteggiati; su tutti: disciplina interiore, educazione alla bellezza, riconoscimento della verità – contro il relativismo dominante – quale faro cui ricondurre ogni scelta, attenzione al bene comune e ancoraggio alla realtà, anche nell’ottica di arginare il predominio del virtuale.

E, soprattutto, rimarca nuovamente con forza l’autrice, non bisogna prendersi in giro e cambiare mentalità rispetto al ruolo primario, e alla corrispettiva responsabilità, dei genitori in campo educativo perché «gettare la spugna dell’educazione in famiglia è il preambolo di tutti i disastri educativi. E tutti i disastri educativi finiscono, prima o poi, in disastri sociali. Per cambiare il mondo bisogna credere nel ruolo dell’educazione nella famiglia».

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