Hanno colpito le dichiarazioni rilasciate nei giorni scorsi dal cardinale George Pell, responsabile delle finanze della Santa Sede, secondo cui «il Vaticano ha più di 1,5 miliardi di dollari di asset dei quali prima non si era a conoscenza», tenendo comunque presente «il deficit previsto di circa un miliardo di dollari nel fondo pensione».
Ma c’è una singola arcidiocesi che può dire di stare meglio dell’intero apparato vaticano: quella di Colonia. Anch’essa nei giorni scorsi ha reso pubblico l’ammontare dei suoi asset, che alla fine del 2013 erano di 3,35 miliardi di euro. Di questi, 2,4 miliardi investiti in azioni, fondi e quote societarie, 646 milioni in asset tangibili, soprattutto beni immobili, con una liquidità in cassa pari a 287 milioni.
Molti hanno attirato l’attenzione sull’anomalia della Chiesa tedesca, che grazie al meccanismo con cui si finanzia, la cosidetta Kirchensteur, gode di una ricchezza abnorme rispetto a un popolo cattolico che si assottiglia in maniera drammatica. «La generazione (tedesca) attiva a livello ecclesiale uscirà tra poco dal mondo del lavoro e morirà nei prossimi tre decenni. Poi crollerà anche la facciata della Chiesa. Dietro ad essa apparirà una minoranza di fedeli, che non sarà più grande della comunità religiosa dei testimoni di Geova» segnalava giorni fa il Sussidiario.
La sola arcidiocesi di Colonia ha incassato nel 2013, grazie ai circa due milioni di cattolici registrati all’anagrafe, ben 573 milioni di euro grazie alla Kirchensteuer. Ciò, tolte tutte le spese, tra cui quelle per gli innumerevoli stipendiati, ha generato un surplus di 59 milioni.