Uno stanziamento di 10 milioni di euro previsto nel bilancio della Regione Lazio, voluto da Alessio D’Amato, assessore alla Sanità e candidato del centrosinistra alle elezioni regionali, per assicurare il via libera alla pillola anticoncezionale gratuita, nei consultori della Regione. Ad annunciarlo Laura Anelli, ginecologa e membro del tavolo tecnico regionale sulla contraccezione e responsabile della Rete dei Consultori della Asl Roma 1. Le fa da eco Eleonora Mattia, presidente della IX Commissione consiliare pari opportunità che esultante ricorda anche come «il Lazio è tra le prime regioni in Italia a dotarsi di un protocollo in linea con le linee guida nazionali e internazionali sull’aborto farmacologico che, da quasi due anni, ci consente di distribuire gratuitamente e a domicilio la RU486». «Propaganda e demagogia sulla pelle dei più giovani e dei contribuenti», è, invece come, in modo lapidario, Massimo Gandolfini, neuropsichiatra e leader del Family Day ha definito il provvedimento sulla pillola anticoncezionale, nel comunicato stampa dell’associazione “Difendiamo i nostri figli”. A lui abbiamo rivolto alcune domande, per saperne di più.
Professore, un commento su questa iniziativa. «È un provvedimento che va in direzione opposta rispetto alle effettive necessità delle famiglie italiane, legate alla condizione economica contingente che fa sì che le famiglie non abbiano tanto bisogno di pillole contraccettive, quanto di sostegni alla maternità e alla vita, a maggior ragione per l’inverno demografico drammatico che sta attraversando l’Italia. Così come il provvedimento precedente a questo, che ha consentito di rendere gratuita, da due anni, la distribuzione della RU486 nei consultori del Lazio è semplicemente vergognoso. Perché, in un momento nel quale il nostro paese sta soffrendo del terribile incubo del calo delle nascite, promuovere l’aborto a questi livelli, significa di fatto, negare i bisogni delle famiglie. Le famiglie hanno bisogno di essere sostenute e certamente ciò che risolve i problemi delle famiglie, non è di sicuro la banalizzazione di una pratica simile».
Investimenti che, come si legge nel suo comunicato, potevano essere impiegati in misure concrete a sostegno delle famiglie. Perché si continuano a negare questi aiuti? «Perché è evidente che certe iniziative sono figlie di un’impostazione ideologica totalmente lontana dalle effettive esigenze del nostro paese. È uno scontro tra un’ideologia profondamente contraria alla vita e una impostazione razionale e civile che sostiene la vita. Hanno uno scopo di imposizione ideologica, banalizzando l’enorme valore che invece ha la vita, la maternità e la genitorialità hanno. Mentre, per quanto riguarda la disponibilità gratuita della Ru486, le statistiche ufficiali ci dicono che la maggior parte delle richieste di interruzione volontaria di gravidanza sono motivate da questioni economiche e lavorative. Allora bisognerebbe piuttosto attivarsi per rimuovere le condizioni di difficoltà economica che spingono, in questo caso, la donna a chiedere l’aborto. E questo in perfetta coerenza con la stessa legge 194».
Quali le ricadute culturali ed educative di un provvedimento simile? «Le ricadute sono pesantissime. Innanzitutto viene ad interessare una fascia d’età che non ha l’elaborazione culturale necessaria per capire cosa vuol dire contraccezione, peraltro molte di queste pillole che sono vendute come contraccettive, ma sono abortive. Quindi non c’è il background culturale necessario. E, inoltre, è una propaganda ideologica che vede nella vita un accessorio, invece di considerarla come il principio e il bene fondamentale su cui costruire la società. Non parliamo, poi, dal punto di vista culturale, della banalizzazione dell’interruzione volontaria della gravidanza, con una “pillolina”. Un atto che, comunque lo si veda, è un atto drammatico e il secondo aspetto è l’incentivazione del dramma di questa esperienza e della mancata presa incarico della donna, abbandonata a sé stessa che va anche contro lo stesso spirito della 194 che parla della tutela sociale della maternità. È una forma di abbondono delle donne.»
Perché, allora, si spinge su provvedimenti come questi? Ci sono solo questioni ideologiche alla base o anche interessi economici e di chi? «Ci sono sicuramente interessi economici, ma il fondamento è una visione ideologica, direi profondamente antiumana, da ogni punto di vista. Perché prendersi carico delle condizioni umane di sofferenza e di disagio, molte volte anche dal punto di vista di drammi sociali delle persone, non significa abbandonarle a sé stesse, mentre uno stato civile va incontro a queste situazioni, non lasciando le persone in uno stato di solitudine, ma al contrario, facendosene carico». (Foto: Imagoeconomica/Pexels.com)
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