Su Galileo Galilei si sono scritti fiumi di libri e di articoli di ogni genere. Purtroppo però si tratta di letteratura in gran parte ideologica e strumentale, legata a due singoli episodi, per quanto importanti, della sua vita, e cioè i “processi” davanti all’Inquisizione del 1616 e del 1633. Un simile diluvio di libelli e opuscoli, per lo più di scarso valore, ha accompagnato il grande scontro ideologico tra filosofie illuministe, materialiste, positiviste, comuniste… e la Chiesa cattolica, divenuta bersaglio, proprio negli ultimi due secoli, di visioni del mondo del tutto diverse. Non è un caso che il primo ad impadronirsi delle carte del processo a Galilei, saccheggiando gli archivi del Sant’Uffizio, e sperando di poterne fare un uso politico, sia stato Napoleone, portabandiera di un mondo che vedeva nel cattolicesimo il nemico per eccellenza (tanto che il generale corso, tra una guerra e l’altra, arrivò ad imprigionare ben due papi).
Il risultato di tanto polverone è che la gran parte delle persone non conoscono affatto i meriti astronomici e scientifici del “divin pisano”, né il suo vero pensiero riguardo alla scienza e alla fede, ma serbano nella memoria descrizioni più o meno romanzesche del processo medesimo, immaginando poi che Galilei sia incorso in chissà quali torture e condanne.
Senza voler affrontare questa annosa questione (si veda QUI), le tante falsificazioni e incomprensioni al riguardo, ci si vuole qui limitare a raccontare un fatto storico, presente in tutte le biografie di Galilei, sia quelle più dozzinali che quelle più scientifiche.
Il fatto è presto detto: siamo nella primavera del 1618, dopo il primo, leggero scontro con l’Inquisizione guidata dal cardinal Bellarmino, e Galilei, che ha già 54 anni ed un fisico piuttosto debilitato, decide “di concedersi un faticoso pellegrinaggio (di oltre trecento miglia) lungo l’Appennino, attraverso stretti passi di montagna e strade impervie, fino alla Santa Casa di Loreto, quindici miglia a sud di Ancona” (James Reston, Galileo, Piemme, 2005, p. 242). Nella Santa Casa si diceva che avvenissero guarigioni miracolose, e per il Reston “non vi è dubbio che ciò dovette costituire una forte attrattiva per l’acciaccato Galileo”.
Anche un’altra biografa, Dava Sobel, ricorda il pellegrinaggio in questione, sottolineando che in quell’occasione “potè anche ringraziare la Vergine per la recente guarigione e pregare per godere di migliori condizioni di salute in futuro” (Dava Sobel, La figlia di Galileo, Rizzoli, Bur, Milano, 2012, p. 103).
Ma non è finita qui: benchè meno documentato, è probabile un secondo pellegrinaggio di Galilei alla Santa Casa, databile alla primavera del 1633: abbiamo infatti una lettera della amata figlia, suor Maria Celeste, in cui ella accenna alla volontà del padre di “visitare la Santa Casa di Loreto”.
Ma come, allora Galilei aveva una grande venerazione per la Madonna e credeva ai miracoli? Questa potrebbe essere la reazione di chi, stordito dalla profluvie di propaganda, ritenesse che il processo a Galilei sia la dimostrazione di una presunta incompatibilità tra scienza e fede.
No, Galilei, come riconoscono tutti gli storici seri, e come ammettono anche personaggi insospettabili come Stephen Hawkins e Richard Dawkins, fu sempre, sino alla fine dei suoi giorni, un devoto credente.
Del resto andrebbe ricordato un altro fatto, anche questo poco conosciuto: ancora giovane Galilei era stato educato dai monaci di Vallombrosa, che gli avevano insegnato per quattro anni il latino, il greco, la matematica e i primi rudimenti della scienza. A quindi anni compiuti, nel 1579, con saio monacale e cappuccio, si apprestava a farsi monaco, ma fu portato via con la forza dal padre Vincenzio (James Reston, op. cit., p. 17-21). Dava Sobel riassume così i fatti: “Una volta lì (nel monastero benedettino di Vallombrosa, ndr), entrò nell’ordine come novizio sperando di diventare monaco, ma il padre non glielo permise. Vincenzio lo ritirò dal convento e lo riportò a casa prendendo come pretesto una infiammazione agli occhi che richiedeva cure mediche. Più probabilmente fu il denaro a decidere la questione”, perché il padre non aveva i soldi per la retta e voleva che il figlio scegliesse un lavoro più redditizio (Sobel, op. cit., p. 29).
Ma torniamo un attimo a Loreto. L’anno dopo il pellegrinaggio di Galilei del 1618, precisamente il 10 novembre 1619, un altro gigante della matematica, Cartesio, fa voto di recarsi alla Santa Casa di Loreto, per ringraziare dell’“illuminazione” da cui è scaturito il suo sistema filosofico. Cartesio adempirà al voto, viaggiando a piedi da Venezia a Loreto, per 12 giorni, alla metà del novembre del 1624.
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