L’immagine in evidenza, con Notre-Dame che brucia, rende iconicamente quanto è emerso dal sondaggio Ifop dell’Associazione dei giornalisti dell’informazione sulle religioni (Ajir), i cui dati sono stati resi noti nella giornata di ieri e rilanciati da Le Figarò: in Francia le chiese bruciano, ossia la gente non crede più in Dio. E non solo nel Dio cattolico, dato che nel quesito «Credi personalmente in Dio?» non era contenuta alcuna specificazione.
Il sondaggio è stato condotto online alla fine di agosto, su un campione di 1.028 persone rappresentative della popolazione con età superiore ai 18 anni. Ebbene, al quesito citato, oltre la metà dei partecipanti (51%) ha risposto: «No». Tale percentuale, stando ad altri sondaggi Ifop condotti in passato, si era fermata al 44% nel 2011 e nel 2004, mentre era al 34% nel 1947: il declino appare piuttosto rapido ed evidente.
La partita è dunque chiusa? Il secolarismo avanza a passo deciso e non vi sono margini di speranza?
UNA SPERANZA DALLE GIOVANI GENERAZIONI
Apparentemente verrebbe da pensare così, ma analizzando meglio i dati si può rilevare un punto interessante: se è pur vero che le persone più credenti sono quelle over 65, che quindi sono cresciute in un contesto socio-culturale e familiare maggiormente impregnato del senso religioso, è altresì vero che il blocco anagrafico che segue questa prima fetta di popolazione è quello ricompreso tra i 18 e i 34 anni. Insomma, a dispetto di quanto spesso si crede, i cosiddetti “Millennials” e la “Generazione Z”, pur essendo cresciuti in famiglie e in un contesto spesso lontani dalla fede, sembrano essere propensi a un ritorno al passato, laddove questo coincide con la propensione a volgere lo sguardo alla componente spirituale in quanto riconosciuta come utile (e necessaria) per la propria vita.
RELIGIONE, SOCIETÀ E FAMIGLIA
Accanto a questo aspetto, ve n’è quindi un altro che rimanda un qualche segno di apertura, seppure non sia in sé completamente positivo: ancora il 68% dei francesi pensa che le religioni «possono aiutare a trasmettere ai giovani punti di riferimento e valori positivi: rispetto per gli altri, tolleranza, generosità, responsabilità». È vero, tale percentuale era ben al 77% nel 2009, ma è rimane comunque un dato che ricomprende i due terzi dei francesi. Ma se è dunque “concesso” che la religione entri in alcuni ambiti socio-culturali, per la maggioranza dei francesi (53%) in altri grandi dibattiti sociali è meglio che essa non metta becco, come quando si parla di bioetica, di moralizzazione dell’economia e di famiglia. La linea di demarcazione è quindi piuttosto netta.
Un discorso simile si può quindi fare rispetto all’incidenza dell’ambito religioso in famiglia e tra gli amici: ne fa un ambito di discussione tra le mura domestiche solamente il 38% dei francesi (contro il 58% del 2009) e un misero 29% (contro il 49% del 2009) ne parla nel gruppo di amici. Come a dire: la fede è sempre più un fatto privato, da gestire individualmente, non condiviso… con tutta l’incidenza che questo comporta.
RELIGIOSITÀ, TRA COVID E NOTRE-DAME
Un altro aspetto indagato dal sondaggio è poi quello relativo alla pratica religiosa in relazione alla cosiddetta pandemia Covid-19. Alla domanda se gli sconvolgimenti degli ultimi due anni abbiano portato a un (ri)avvicinamento alla fede, un sonoro 91% risponde con un secco «No».
Allo stesso modo, neanche lo sconvolgente incendio alla cattedrale di Notre-Dame de Paris avvenuto nel 2019, che ha destato scalpore in tutto il mondo, ha portato i francesi a un particolare “risveglio” del sentimento religioso, cosa che viene dichiarata come vera solamente dal 21% del campione in esame.
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