Il ministro della Famiglia, Lorenzo Fontana, durante l’audizione di ieri alla commissione per gli Affari sociali della Camera, ha fatto un deciso intervento contro la pretesa della cosiddetta «omogenitorialità», sostenuta negli ultimi mesi da sindaci di diverse città (Firenze, Milano, Roma, Torino, ecc.) in aperto contrasto alla legge naturale e alle stesse norme dello Stato. «Rilevo come l’attuale assetto del diritto di famiglia non possa non tenere in conto di cosa sta accadendo in questi ultimi mesi in materia di riconoscimento della genitorialità, ai fini dell’iscrizione nei registri dello stato civile di bambini concepiti all’estero da parte di coppie dello stesso sesso facendo ricorso a pratiche vietate dal nostro ordinamento, anche penalmente, e che tali dovrebbero rimanere».
Nel prosieguo del suo intervento, con il quale ha esposto le linee programmatiche del suo ministero, Fontana ha ricordato che tali pratiche vietate consistono nella maternità surrogata e nella fecondazione eterologa, espressamente proibite dalla legge 40/2004 (approvata quando di adozioni gay non si parlava), sebbene poi l’eterologa, per le coppie uomo-donna si intende, sia stata fatta rientrare dalla finestra nel 2014 da una sentenza ingiusta della Corte costituzionale, che ha dato il via libera alla creazione in provetta di bambini orfani.
In particolare, sull’utero in affitto – che a sua volta è stato ratificato in modo «creativo», in spregio alla legge, da diversi giudici italiani – il neo ministro si è così espresso: «Se il divieto di gestazione per altri è presente nel nostro ordinamento va fatto rispettare in termini concreti evitando che il ricorso a tali pratiche all’estero si traduca poi con il ritorno in Italia del minore in un continuo aggiramento di un divieto che nel nostro ordinamento è volto a preservare valori fondamentali quali innanzitutto la dignità della donna e del bambino, ridotti a meri oggetti». Bene dunque ha fatto Fontana a intervenire sul tema, di fronte al dilagare di veri e propri abusi di potere commessi da tribunali, amministrazioni e sindaci ideologizzati, da Beppe Sala a Chiara Appendino, da Dario Nardella a Virginia Raggi, che nelle ultime settimane hanno dato il benestare alla registrazione anagrafica di bambini come figli di «due madri» o «due padri».
Fontana ha anche annunciato misure a sostegno della maternità e manifestato l’intenzione di lavorare a una legge sulle disabilità. Pure in questo caso si tratta di intenti apprezzabili, mentre non è affatto condivisibile un’altra idea del ministro, secondo il quale sarebbe «arrivato il tempo per dotarsi di una serie di discipline sull’accordo prematrimoniale che siano volte a ridurre i contrasti di tipo essenzialmente economico tra i genitori nella fase di dissolvimento del vincolo, con vantaggi per i minori che non saranno ostaggio di un genitore o dell’altro». Un cedimento, quello sugli accordi prematrimoniali, che ci dispiace perché va nel senso dell’ulteriore banalizzazione del matrimonio da sacramento perenne a un contratto come un altro di cui si può perfino preventivamente regolare lo scioglimento, prima ancora di promettersi il «finché morte non ci separi». Speriamo che ci ripensi.
Tornando alla questione dei bambini adottati da coppie gay, Fontana ha ricevuto manforte dal ministro dell’Interno e vicepremier Matteo Salvini, il quale durante il question time al Senato ha promesso che «difenderemo in ogni sede immaginabile il diritto del bambino di avere una mamma e un papà». Salvini ha detto chiaramente che «l’utero in affitto e la compravendita di gameti umani e di bambini sono fattispecie delittuose, sono reati. Finché campo e finché sono membro di questo governo, l’utero in affitto e i bambini in vendita non esisteranno in Italia come pratica, perché lede i diritti dei bambini, delle mamme e dei papà». Al contempo, ricordando il problema posto da una decisione del Consiglio di Stato sulle competenze dei prefetti (decisione che non tiene conto che la famiglia è, come definita dalla Costituzione, «società naturale fondata sul matrimonio»; e come tale va tutelata quale fondamento dell’ordine pubblico), ha spiegato di aver chiesto all’Avvocatura dello Stato di «dare le sue valutazioni legali» prima della definizione di «linee d’indirizzo che ho intenzione di diramare alle prefetture e agli enti locali interessati».
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