In Germania c’è un’annosa questione: la tassa che i fedeli battezzati, sulla base del loro reddito, sono costretti a pagare alla chiesa locale, se vogliono rimanere cattolici. Un obolo dovuto, che non consente margini di scelta.
LA TASSA IN NUMERI
La realtà numerica mostra come, pur a fronte di una diminuzione di fedeli, le casse delle diocesi cattoliche in Germania non stanno patendo alcuna crisi: anzi, le entrate sono in crescita, in virtù della florida situazione lavorativa, e dunque economica, dei fedeli che versano le tasse. Come riporta il Tagespost, citando una ricerca del 2018, «la Chiesa cattolica aumenterà le entrate fiscali delle chiese a 8,2 miliardi di euro nei prossimi cinque anni, il doppio rispetto al 2004». E «la tendenza continuerà fino al 2023».
OBIEZIONE DI COSCIENZA FISCALE?
Questi numeri in continua crescita aprono tuttavia a una riflessione molto importante, seppure interessi una (purtroppo) minoranza di cattolici tedeschi: come devono comportarsi quei fedeli che, figli devoti della Chiesa e fedeli al Magistero, «per motivi di coscienza, ad esempio perché lo sviluppo della Via Sinodale sembra fatale o perché alcune associazioni cattoliche, anch’esse finanziate con la tassa di chiesa, sembrano lasciare il terreno all’ortodossia» non vogliono più pagare la tassa, pur rimanendo (o, meglio: volendo rimanere) fedeli al proprio Battesimo?
La questione è nel contempo complicata e semplice. Infatti, riporta un altro pezzo del Tagespost, se è pur vero che è in vigore dal settembre del 2012, con anche l’approvazione della Santa Sede, un Decreto generale della Conferenza episcopale tedesca sull’uscita dalla Chiesa, che obbliga i fedeli a versare la tassa, pena il non poter più ricevere i sacramenti e il non poter assumere incarichi e ministeri, è altresì vero che si tratta di un documento controverso.
Infatti, vi è un precedente testo, risalente al 2006, regnante Benedetto XVI, del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, dal quale si evince che «per poter parlare di un atto formale di apostasia, il consiglio ha menzionato tre criteri: “è necessaria una decisione interna per lasciare la Chiesa cattolica”; “l’esecuzione e l’espressione esterna di questa decisione” e “l’accettazione di questa decisione da parte dell’autorità ecclesiastica”». Ebbene, nel caso dei fedeli tedeschi che scegliessero in coscienza di non pagare la tassa dovuta, questi tre criteri non sarebbero pienamente soddisfatti.
Quindi, in sintesi, è una scelta in sé possibile e che andrebbe verificata caso per caso. Al che, leggiamo ancora sulle colonne del Tagespost, sale spontanea una domanda, alla luce del fatto che «le soluzioni individuali sono state conosciute per l’ammissione dei divorzi risposati ai sacramenti dall’Amoris Laetitia, specialmente in Germania. Perché uno è misericordioso lì, mentre i vescovi tedeschi come legislatori non conoscono casi individuali e nessuna misericordia quando viene contestata la tassa alla chiesa?».
L’8 PER MILLE IN ITALIA
Un discorso, questo, nel quale in parte potrebbero riconoscersi – pur con i dovuti distinguo – anche i fedeli italiani che, in tempo di dichiarazione dei redditi, si trovano a dover scegliere se devolvere o meno il proprio 8 per mille alla Chiesa cattolica. Siamo su due piani diversi, lo ripetiamo, ma la domanda cui si giunge è, in fondo, la medesima: e se un fedele volesse fare “obiezione fiscale” e non dare la propria quota dell’Irpef alla Chiesa cattolica, ma neanche allo Stato o alle altre 10 possibilità previste nel modello per il 2020? Sempre tenuto conto del fatto che il fare l’elemosina non è un optional nella vita cristiana, ma tuttavia considerando che vi sono tante modalità per corrispondere a questo obbligo.
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