È successo. Non si sa ancora bene come, ma è successo: Fabio Fazio e Luciana Littizzetto sono fuori dalla Rai. La notizia, che ha iniziato a circolare nel pomeriggio di ieri, aveva inizialmente il sapore d’una burla, di uno scherzo di Carnevale fuori tempo massimo. Invece è tutto vero. Dopo quasi 40 anni – non al buio, eh, ma previo un accordo blindato di quattro anni con Discovery, che lo vedrà debuttare sul Nove già dal prossimo autunno – il conduttore di Che tempo che fa lascia la tv pubblica insieme alla fida Luciana Littizzetto.
L’interessato non ha voluto, va detto, rinfocolare alcuna polemica. «Se dicessi mai qualcosa di scortese», sono state le sue parole, «è come se lo dicessi contro di me, perché la Rai ha 70 anni e, di questi 70 anni, 40 li ha trascorsi con me e io con lei. Grazie a tutto il pubblico, comunque ci ritroveremo». Parole senza dubbio pacate, anche se si potrebbe leggere quella premessa – «se dicessi mai qualcosa di scortese» – come il vorrei ma non posso di chi qualche sassolino da togliersi dalle scarpe lo avrebbe, eccome se lo avrebbe. Ma anche così fosse, pace.
Perché il dato concreto della notizia di ieri è davvero enorme, avendo il sapore del crollo del muro catodico di Berlino, della fine dell’okkupazione, della partenza del servizio politico e del ritorno di quello pubblico. Esagerazioni? Forse. Perché se da un lato è vero che Fazio e Littizzetto, giusto farlo notare, non erano né sono certo i soli – figuriamoci – ad appartenere all’establishment televisivo progressista, dall’altro è vero come entrambi, ormai, siano dei simboli a tutti gli effetti; e si sa, è proprio di simboli che il potere si serve per perpetuarsi. Perciò è difficile non accogliere la partenza del duo se non con positività e senza grandi nostalgie.
A meno che non si voglia aver nostalgia di un tipo di televisione che, negli anni, spacciandoli per satira ha fatto: pubblicità al condom, frecciate a papa Ratzinger e alle suore, oltre che al cardinale Ruini, il quale tuttavia con intelligenza non se ne è risentito. Certo, Fabio Fazio – da tempo in polemica con Matteo Salvini – ha anche recentemente intervistato papa Francesco, ma a parte che sulla qualità giornalistica di quella performance tanti hanno avevano avuto da ridire («Nessuna vera domanda a Bergoglio», aveva notato anche Micromega) – a tratti sembrava quasi che Francesco intervistasse Fazio -, c’è da dire che non è con un singolo episodio che si cancellano anni e anni di faziosità.
Non sembra esagerato esprimersi in questi termini dato che, quando ci si è presi la briga di fare due conti, si è trovato riscontro di un marcato disequilibrio. Per esempio, dal settembre 2012 al 26 maggio 2013 – mesi politicamente intensi, se si pensa che vi furono la crisi di governo, le elezioni politiche e quelle amministrative – Fazio, giornalista peraltro dai compensi non proprio miseri, su 60 puntate aveva ospitato 20 rappresentanti del Pd e 4 del centrodestra. E questo solo per stare ai freddi numeri; perché se invece passiamo al clima radical chic che ha per anni servito ai telespettatori la dinamica coppia, ecco, tutto appare ancora più sbilanciato e partigiano.
Morale, non si può negare che Fazio e Littizzetto – la quale ha preso parte anche al recente «Città dei diritti», la manifestazione al teatro Carignano di Torino dei sindaci pro Lgbt -, siano dei signori professionisti. Il fatto è che hanno deciso di mettere il loro talento a servizio non già di tutti i telespettatori, bensì della sensibilità politica di una singola parte. Che questo abbia consentito loro comunque di fare ottimi ascolti, non cambia d’una virgola la gravità di una televisione partigiana e della cui partenza verso altre emittenti, di conseguenza, ce ne faremo una ragione. Anzi, ce la siamo già fatta. (Foto: Imagoeconomica)
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