Da lunedì 18 maggio i fedeli sono potuti tornare ad assistere alla Santa Messa e a ricevere la Santa Comunione. Il Timone ha contattato don Luca Paitoni (foto a fianco), sacerdote della Diocesi di Brescia che si è fatto promotore di un interessante video – visibile in calce a questo articolo – dal titolo Condizioni per ricevere la Santa Comunione, che ci ha resi partecipi di alcune riflessioni in merito.
Don Luca, nel suo ministero mediamente come vede che la gente si accosta alla Santa Comunione?
«C’è molta varietà di accostamento, anche se possiamo, a mio avviso, distinguere due gruppi: chi è pienamente cosciente di cosa sia l’Eucarestia, e soprattutto di chi sia l’Eucarestia, e che sta facendo un cammino di vita morale e spirituale sui passi della fede tradizionale, che si concretizza per esempio nell’attenzione ad accostarsi alla Confessione prima di ricevere il Signore e nella scelta sempre più naturale di fare la Comunione in bocca, fino ad arrivare alla Comunione in ginocchio e al ringraziamento, dopo la Comunione, di volta in volta sempre più prolungato. C’è poi un secondo gruppo molto ampio e variegato che va da persone che non hanno cattive intenzioni, che amano sinceramente il Signore, ma che – alla luce del loro percorso di fede – non vedono con difficoltà la comunione sulla mano, fino a quelli che, in maniera quasi ideologica, prendono posizione contro la Comunione in bocca o in ginocchio».
Finalmente, dopo un lungo periodo di “astinenza”, da lunedì tanti fedeli hanno potuto tornare a frequentare la Santa Messa e a ricevere il Signore. A suo avviso, questo stop forzato ha portato a una maggiore consapevolezza dell’importanza di ricevere il Signore con la giusta preparazione e disposizione?
Proviamo ora a cambiare prospettiva: cosa pensa e prova un sacerdote nel celebrare tutti i giorni la Santa Messa?
«Personalmente, la Santa Messa è una esigenza imprescindibile ed è il momento più importante nella mia giornata: come dice la Sacrosanctum Concilium, la celebrazione liturgica è “culmen et fons” (SC, 10). Solitamente, non avendo parrocchia, io celebro al mattino presto dopo aver pregato l’Ufficio e le Lodi, quindi la Messa per me costituisce da un lato il culmine della preghiera, dall’altra la fonte cui attingere per vivere le ore che seguiranno».
Diversi sacerdoti hanno lamentato la fatica di celebrare sine populo. Qual è la sua esperienza e come si affaccia don Luca alla “Fase 2”?
«Per la mia esperienza, non ho visto differenze perché da anni celebro la maggior parte delle volte privatamente, non avendo parrocchia. Ad ogni modo, se da un lato mi interrogo molto sulla difficoltà di alcuni confratelli di celebrare senza popolo, dall’altra so che molti sacerdoti in questo periodo hanno riscoperto la celebrazione della Messa privata, che è anzitutto un valore per il sacerdote, e poi di conseguenza per il popolo, il quale non è il fine della celebrazione, che, invece, è sempre la Gloria di Dio. E il beneficio che cade sulla comunità, sul mondo, non è dipendente dalla presenza o meno della comunità alla Messa. Scriveva in proposito nella Mysterium Fidei papa san Paolo VI: “Ogni Messa, anche se privatamente celebrata da un sacerdote, non è tuttavia cosa privata, ma azione di Cristo e della Chiesa, […] se è sommamente conveniente che alla celebrazione della Messa partecipi attivamente gran numero di fedeli, tuttavia non è da riprovarsi, anzi da approvarsi, la Messa celebrata privatamente, secondo le prescrizioni e le tradizioni della santa Chiesa, da un Sacerdote col solo ministro inserviente; perché da tale Messa deriva grande abbondanza di particolari grazie, a vantaggio sia dello stesso sacerdote, sia del popolo fedele e di tutta la Chiesa, anzi di tutto il mondo, grazie che non si possono ottenere in uguale misura mediante la sola Comunione” (n. 33)».
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