Pubblichiamo di seguito alcuni stralci dell’intervento pronunciato dal cardinale Carlo Caffarra (1938-2017) a San Giovanni in Persiceto (BO) il 1 novembre 2008 in memoria del Servo di Dio Giuseppe Fanin, barbaramente assassinato la sera del 4 novembre 1948 da un gruppo di estremisti comunisti che, secondo uno stile insensato del dopoguerra emiliano, pensavano che anche un agguato fosse lecito per intimidire la parte politico-sindacale concorrente.
[…] Fanin visse il momento storico così drammatico come laico cristiano. La sua spiritualità, che ho appena richiamato per sommi capi, non lo portava fuori dal mondo, in vacue evasioni spiritualistiche. Al contrario. Egli era pienamente consapevole che la sfida che la nuova stagione rivolgeva ai cristiani, doveva essere raccolta in primo luogo dai laici cristiani. Consapevolezza dell’epoca storica e risposta cristiana ai nuovi problemi sono le dimensioni essenziali che definiscono la laicità cristiana di G. Fanin. Di qui la sua tensione ad una preparazione rigorosa anche scientifica attraverso gli studi di agraria, unita al concreto impegno di elaborare programmi sociali per rinnovare secondo la dottrina sociale della Chiesa quel mondo agrario cui il Servo di Dio si sentiva più legato.
La sua morte dunque non fu che il capolinea logico del percorso di un cristiano per il quale la fede era chiamata a rigenerare l’humanum, più precisamente a ridare piena dignità al lavoro dell’uomo. Ho detto “logico capolinea” nel senso evangelico quale traspare dalla parola di Pietro: «Carissimi, non siate sorpresi per l’incendio di persecuzione che si è acceso in mezzo a voi per provarvi, come se vi accadesse qualcosa di strano … Ma se uno soffre come cristiano, non ne arrossisca; glorifichi anzi Dio per questo nome» [1Pt 4,12.16]. Il Servo di Dio G. Fanin è una delle pietre immacolate con cui il Signore ha costruito l’edificio delle nostre comunità cristiane nella nostra Regione. Con lui penso ai tanti nostri sacerdoti uccisi da un odio insensato e cieco. Non perdiamo la loro memoria. Essi sono le vittime di un disegno insano che pensava di edificare una società di uguali mediante l’uccisione di innocenti. E se a noi sono stati risparmiati anni di disumana devastazione della dignità dell’uomo, come non avvenne in altri paesi dell’Europa dell’Est, ciò fu dovuto, secondo una visione di fede, anche al sacrificio di queste vittime innocenti. Non siamone eredi immemori. […]
Che cosa dice a noi oggi? Certamente le condizioni storiche sono profondamente mutate, tuttavia la testimonianza di Giuseppe Fanin rimane di grande attualità. Egli ci ricorda e ci suggerisce il modo giusto per un cristiano di essere dentro alla società. Ed è in questo che consiste la vocazione propria del fedele laico.
«Essere dentro la società». Certamente il fedele laico non può non esserci, a causa della sua vita familiare e del suo lavoro e non raramente di impegni civili. Ma il problema è di esservi come cristiani; di non lasciarsi vincere dall’insidia di separare l’esperienza della fede dall’esperienza umana; di separare ciò che si celebra alla domenica da ciò che si vive il lunedì. Circa questa unità il messaggio che giunge a noi dal Servo di Dio è limpido: è a causa di questa unità che è stato ucciso. Come si assicura e su che cosa si fonda l’unità fra il credere ed il vivere nel fedele laico? Vorrei chiarire subito che non sto facendo un discorso principalmente morale di coerenza fra come si vive e la fede che professiamo. Sto parlando della necessità per il fedele laico di possedere una capacità di giudizio, ispirato dalla fede, circa la condizione umana. […]
La solidità della presenza del laico cristiano nella società dipende in larga misura dal fatto che egli non si lascia portare qua e là dalle mode culturali del tempo e da chi produce il consenso sociale, ma al contrario possiede una robusta capacità di interpretare e giudicare ciò che accade alla luce del Vangelo. Siamo giunti ormai in una situazione nella quale, se il cristiano non è vigilante, viene per così dire svuotato del suo modo proprio di pensare. La formazione culturale oggi è una questione di vita o di morte per la presenza cristiana nella società. O la presenza cristiana possiede una vera e grande dignità culturale o diventa insignificante. Anche da questo punto di vista la testimonianza del Servo di Dio è esemplare.
Per “dignità culturale” non intendo che bisogna leggere molti libri. La cultura è il modo di stare al mondo: il modo di sposarsi, di lavorare, di edificare la comunità civile, di soffrire, di morire. La fede che non diventa, o meglio che non genera cultura non è viva. Come raggiungere questo scopo? Il Servo di Dio ci suggerisce la risposta. Il fedele laico deve radicarsi in una profonda esperienza di preghiera, ed entrare dentro alla Sapienza divina rivelataci dalla sua Parola. In fondo, la Chiesa colla sua Liturgia, colla sua predicazione, col metterci nelle mani le Sacre Scritture, a che cosa mira? In primo luogo a che noi assimiliamo il pensiero di Cristo, ed abbandoniamo il nostro modo di vedere le cose. Il discepolo del Signore è l’uomo che vive la sua esistenza non più in sé stesso, ma in Cristo [cfr Gal 2,20; Rom 6,1-11]. Pensare come Cristo, pensare con il pensiero di Cristo: questo è ciò che ci impedisce di essere «sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina». […]
(Immagine: screenshot copertina settimanale Oggi ANNO IV N. 47 – 1948, Giuseppe Fanin e la fidanzata Lidia Risi, con cui si sarebbe dovuto sposare la primavera successiva al suo omicidio)
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