Michele ed Elena sono due giovani sposi bolognesi (qui il loro blog), genitori di sei figli: Gregorio di 8 anni, Benedetta di 7, Maria Marta di 5, due gemellini di 3 e infine Anna, di appena 7 mesi.
Per festeggiare i 10 anni di matrimonio, la coppia ha deciso di percorrere un tratto del cammino di Santiago con tutti i bimbi al seguito: circa 230 chilometri a piedi, da Vila Do Conde, in Portogallo, a Santiago de Compostela, dal 17 luglio al 2 agosto. Una follia? Una richiesta esagerata da fare a dei figli così piccoli? Un atto di eroismo? Il Timone ne ha parlato con la mamma della truppa, Elena.
Elena, come mai avete deciso di festeggiare in questo modo il vostro decimo anniversario di matrimonio?
«L’idea è venuta a Michele durante un momento di adorazione. Entrambi lo abbiamo poi messo in preghiera, con una novena a San Giacomo, che ha fatto sì che incontrassimo tutta una serie di persone “esperte” del cammino che ci hanno dato diverse indicazioni, che peraltro hanno stravolto l’idea che ci eravamo fatti noi: questo però ci ha confermato che il progetto non era frutto della nostra vanagloria.
Il pellegrinaggio in occasione dell’anniversario, infatti, ci è sembrato la modalità perfetta per ringraziare per questi 10 anni passati assieme e per tutte le grazie che abbiamo ricevuto, nella certezza che il cammino ne sarebbe stato ulteriormente pieno, e nel contempo per chiedere perdono per quando ci siamo allontanati dalla volontà del Signore. Qui, nel percorso, è stata fortissima questa impronta spirituale perché le frecce che indicano la direzione sono tutte poste e sono tutte chiare, non c’è mai motivo per dubitare: questo secondo me è un parallelismo stupendo di come non si debba mai dubitare della volontà di Dio, ma invece seguirla nella letizia».
Cosa avete scoperto di voi, della vostra famiglia, durante il cammino?
«Innanzitutto, il cammino unisce molto. Poi abbiamo potuto realizzare che in questi 10 anni non ci siamo mentiti come marito e moglie: il cammino ti spoglia di ogni tipo di remore, c’è poco da fare, ma non ci siamo scoperti diversi da come ci conoscevamo, rispetto alle “mancanze”. Invece, abbiamo scoperto reciprocamente che l’altro (ma anche noi in prima persona!) è molto più grande, più bello e più forte di quello che a volte la maschera della quotidianità fa percepire. Anche i bimbi ci hanno stupito molto per come ci sono stati, si sono dimostrati più grandi e più forti di quello che già sapevamo».
E come siete stati nelle inevitabili fatiche e stanchezze?
«Chiaramente a un certo punto, nella giornata, tutti a turno avevamo un momento di cedimento psicologico e abbiamo scoperto che non sapevamo starci a fianco, volendoci bene, nella maniera migliore: è un dono che va chiesto al cielo. Abbiamo così capito che la letizia non è una cosa che si può “costruire”, ma che è un dono che ti viene dato, e che quindi va chiesto.
Abbiamo anche visto che ci è stato dato tutto il necessario, dal cibo, al letto, alle idee per fare le scelte migliori nel momento migliore… Quindi quello che abbiamo fatto è stato chiedere al cielo di farsi presente, di incarnarsi nella nostra realtà, perché anche se abbiamo già fatto esperienza di Dio, “il solo ricordo non ci è sufficiente”, abbiamo bisogno che ci salvi oggi, e continuamente».
Il pellegrinaggio ha portato un di più alla vostra famiglia dal punto di vista spirituale?
«Sì, anche se devo dire che abbiamo sofferto molto l’assenza della Chiesa in questo cammino: chiese chiuse, nessuna Messa feriale e a fatica quella della domenica, non ci siamo potuti confessare… Però questa mancanza ha suscitato in noi il desiderio forte, e una preghiera costante, per una Chiesa santa e l’impressione che il Concilio Vaticano II abbia colto bene che il nostro è il momento dei laici. Quindi ci è sorto ancora di più il desiderio di una vita grande, di una vita santa, da proporre anche ai figli, basata sulla preghiera, sui sacramenti e sulla parola di Dio».
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