Nelle scorse ore si è consumato il triste epilogo della vita di Fabio Ridolfi, uomo di quarantasei anni marchigiano, tetraplegico da quasi due decenni.
Da ieri mattina, 13 giugno, aveva avuto infatti inizio la sedazione profonda, presso l’hospice di Fossombrone. Poi nel pomeriggio è arrivata la notizia della sua morte.
Fabio, che comunicava con un puntatore oculare, aveva scelto questa strada per porre fine alla propria vita. Da ultimo, sì, in quanto la sua vicenda non è stata lineare, tanto da alimentare diverse (false) speranze e polemiche. Molto in sintesi: il cosiddetto “suicidio medicalmente assistito” è, in Italia, ad oggi illegale; la legge sul fine vita, sotto il nome di “Disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita”, è infatti stata approvata lo scorso marzo alla Camera, ma non è ancora stata votata dal Senato. Tale testo in via di approvazione, ad ogni modo, va sostanzialmente a recepire la sentenza della Corte costituzionale 242/2019, cosiddetta “sentenza Cappato”, secondo la quale, in determinate e verificate circostanze, è lecito “aiutare” le persone a morire. E proprio tale sentenza, come ormai siamo “abituati” a vedere accadere in Italia ogniqualvolta il sistema legislativo presenta delle falle o dei ritardi, sta di fatto – naturalmente indebitamente – dettando legge e, soprattutto, facendo scuola.
Tornando a Fabio, come richiesto dalla sentenza appena citata, l’uomo aveva ottenuto l’assenso del Comitato etico regione Marche al suicidio medicalmente assistito ed era dunque in prospettiva il primo in Italia a poter accedere legalmente alla morte ma, come denunciato su tutti dall’Associazione Luca Coscioni, avrebbe dovuto «farsi carico di 5.000 euro di spese per l’acquisto del farmaco e delle apparecchiature per l’infusione»: tanto che, la suddetta associazione, aveva anche lanciato una raccolta fondi in suo sostegno, che in poche ore pare abbia raggiunto la cifra di 20.000 euro.
Alla fine, ad ogni modo, alla luce del fatto che l’iter sembrava essersi bloccato, Fabio ha scelto di revocare il consenso a idratazione e alimentazione, come previsto dalla legge sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento del 2017, e con la sedazione profonda.
LE PAROLE DI SPERANZA
Questo caso, l’ennesimo purtroppo strumentalizzato per fini ideologici, con Cappato & Co a fare da sponsor, i maggiori media nostrani naturalmente allineati nel propagandare la cultura di morte sulle note di un sentimentalismo privo di qualsivoglia prospettiva più ad ampio (e alto) spettro e una certa ala politica pronta a mettere la propria bandiera, è emblematico del clima socio-culturale e giuridico in cui siamo immersi. La morte o, più correttamente, l’uccisione di una persona, diventa un obiettivo buono, da perseguire. La discordanza è evidente: non è la vita a essere buona, è la morte, come la stessa etimologia della parola greca “eutanasia” sta a significare.
E, ad aggravare ulteriormente il quadro, nelle scorse ore erano arrivate le parole del Ministro della salute Roberto Speranza a La Stampa, che si era sbilanciato nell’affermare che lo Stato deve favorire chi compie questa scelta, anche fornendo un aiuto di carattere economico: «Una volta che la procedura di verifica del rigoroso rispetto delle condizioni individuate dalla Consulta sia stata completata», ha infatti affermato, «le strutture del servizio sanitario nazionale non possono assumere atteggiamenti ostruzionistici, né è ipotizzabile che i costi siano a carico del paziente». Per aggiungere inoltre che «la legge [sul fine vita, ndR] non è più rinviabile».
Senza indugi, il politico che in questi due anni di pandemia è stato forse il più in vista, ha deciso di schierarsi. Ma, in questo caso come in altri, adottando una visione parziale, di parte. «Il Governo», ha aggiunto ancora Speranza, «laddove ve ne sia bisogno, non farà mancare un tempestivo chiarimento e intervento». Sorge spontaneo un triste commento: ucciderne uno, per ucciderne mille.
Di fronte a queste considerazioni, tuttavia – così come alla morte di Ridolfi -, viene spontaneo pensare a tutte quelle persone che, invece, spesso nel silenzio, la loro vita la vogliono vivere fino al sopraggiungere della morte naturale, e spesso faticano perché non hanno il sostegno adeguato. Sostegno che di certo ha anche una sua componente più economica, dal momento che sono noti a tutti i costi da sostenere per poter accedere a determinati esami, cure e trattamenti, o anche solo per l’acquisto di farmaci, così come quelli per avere l’assistenza necessaria, anche domiciliare.
Domandiamo quindi provocatoriamente a Speranza, e a tutti quelli che non hanno voluto impedire la morte del 46enne di Fermignano: per questa platea di persone – di certo più numerosa di quanti vogliono morire ma nel contempo meno “rumorosa” – i soldi ci sono e ci saranno? O scegliere di vivere è ormai un’opzione di serie B? Dopo la morte di ieri, da più parti salutata come una “vittoria”, il dubbio viene.
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