Viviamo in una società globalizzata, dove la comunicazione e gli scambi non conoscono confini… eppure stiamo diventando un esercito di persone sole, abbandonate a se stesse.
I dati in proposito sono allarmanti: guardando alla sola Europa, un’inchiesta condotta qualche mese ha rilevato che il 6% della popolazione non avrebbe alcuna persona cui chiedere aiuto in caso di bisogno: non un parente, non un amico, non un conoscente… nessuno. Una realtà angosciante, che balza agli onori della cronaca quando si sente di persone sole ritrovate morte in casa parecchi giorni dopo il decesso.
Alla luce dell’allarmante situazione, generalizzata nei Paesi maggiormente sviluppati, a inizio gennaio Theresa May, il Primo Ministro britannico, ha deciso di istituire il Ministero della Solitudine. L’obiettivo è quello di creare una strategia intergovernativa volta ad aiutare i nove milioni di cittadini del Regno Unito che si sento soli e, soprattutto, i 200.000 anziani che hanno dichiarato di non parlare con parenti e amici da più di un anno.
Una iniziativa, questa inglese, che probabilmente anche l’Italia si troverà presto a dover pianificare: gli ultimi dati pubblicati dall’Istat rivelano infatti che, nel Bel Paese, una “famiglia” su tre è composta da una sola persona (31,6%) – mentre solo vent’anni fa il dato si attestava al 20,5% – e che la metà delle donne italiane in età fertile non ha nemmeno un figlio, molto spesso per scelta. Insomma, sul nostro territorio stanno prendendo sempre più piede la moda della “singletudine” (ideologica o “di ritorno”, ossia sviluppatasi dopo una storia di coppia finita male) e le “mono-famiglie”, mentre l’inverno demografico che perdura oramai da anni non sembra mollare la presa. Ma i nostri politici sembrano avere più interesse per l’eutanasia, le unioni civili, l’immigrazione…
Naturalmente alla base del fenomeno appena descritto vi è una forte influenza del mercato, che vede nelle famiglie – notoriamente più attente e in grado di suddividere meglio le spese – un pericolo da scongiurare, mentre le persone che vivono sole sono dei consumatori ideali. Ma vi è anche una spinta culturale che porta le persone a ritenere che si è più felici nell’essere liberi da vincoli relazionali e che investe molto sul mito dell’autodeterminazione: perché, lo sappiamo, seppure la relazione sia inscritta nell’animo umano (non per niente nasciamo da due persone), rapportarsi con il prossimo implica il far fare un passo indietro al nostro “ego”, e non è quindi né facile, né immediato.
Eppure è solo entrando in relazione – a un livello orizzontale, ma anche su un piano verticale, con Dio – che l’uomo può aprirsi al futuro e aspirare a essere felice. Come scriveva lo psicologo Tonino Cantelmi: «Secondo me la “singletudine” è un fenomeno legato alla rinuncia a quella che ho definito la “progressione magnifica”: esserci, “esserci-con”, “esserci-per”. E sì, perché la “progressione magnifica” permette di partire da un Io (l’esserci), per passare ad un Tu (l’“esserci-con”) e infine giungere ad un Noi (l’“esserci-per”), dimensione ultima e sola che apre alla generatività, alla creatività ed all’oblatività».
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