di Emanuela Marinelli
su «Tempi»
I risultati di un’importante ricerca sono stati pubblicati recentemente sulla rivista PlosOne. L’indagine è stata condotta dal dipartimento di Ingegneria industriale di Padova, dove insegna Giulio Fanti, in collaborazione con Elvio Carlino, dell’Istituto officina dei materiali del Cnr di Trieste, e Liberato De Caro e Cinzia Giannini, dell’Istituto di cristallografia del Cnr di Bari. Questo gruppo di scienziati, che si avvale degli strumenti di microscopia più avanzati, ha trovato su una fibra della Sindone tracce di nanoparticelle biologiche di creatinina, una sostanza chimica prodotta dal metabolismo muscolare, legate a nanoparticelle di ossido di ferro. Il tipo, la dimensione e la distribuzione delle nanoparticelle di ossido di ferro rivela che non possono essere coloranti per la pittura, ma sono piccole particelle di ferridrite della ferritina, una proteina che costituisce la riserva di ferro dell’organismo nei tessuti. Il legame costante della ferritina con la creatinina si verifica nell’organismo umano in caso di grave politrauma. Questa ricerca conferma, quindi, che l’Uomo della Sindone è stato vittima di pesanti torture prima di una morte cruenta.
Anche il recente congresso scientifico svoltosi a Pasco (Stati Uniti) dal 19 al 22 luglio ha portato nuovi risultati che avvalorano l’autenticità della Sindone, il lenzuolo conservato a Torino che la tradizione attribuisce alla sepoltura di Cristo. Gli studiosi presenti provenivano da diversi paesi e il contributo di quelli italiani è stato notevole, sia nel settore storico che in quello scientifico. Notevoli sono stati anche i contributi degli altri congressisti, provenienti da Spagna, Francia, Stati Uniti, Messico e Australia. Gli abstract di tutti gli interventi si trovano qui. Alcuni interventi sono disponibili su YouTube. La storia antica della Sindone si identifica con quella dell’Immagine di Edessa, che fu chiamata Mandylion dai Bizantini. Alfonso Caccese, Emanuela Marinelli, Laura Provera e don Domenico Repice hanno studiato l’Imago Pietatis, ovvero il Cristo a mezzo busto che sorge da una tomba a pozzo con il capo reclinato sulla sua spalla destra e le braccia incrociate davanti. Varie testimonianze scritte e iconografiche confermano l’ipotesi che questo tipo iconografico si ispiri alla Sindone, esposta in verticale a Costantinopoli con un meccanismo simile a quello del trono della Magnaura, con cui l’imperatore poteva essere sollevato in alto per impressionare i presenti.
La Sindone era a Costantinopoli nel 1204. Alessandro Piana ha portato nuovi elementi a conferma della presenza della reliquia ad Atene nel 1205, dopo il saccheggio perpetrato dai Crociati nella capitale bizantina. In quell’anno era diventato Signore di Atene Othon de la Roche, che tornò in Francia dopo il 1225, con ogni probabilità recando con sé la Sindone. Dopo la sua morte, nel 1234, la Sindone restò proprietà della sua famiglia fino ad arrivare a Jeanne de Vergy, sua discendente alla quinta generazione, che insieme al marito Geoffroy de Charny la espose a Lirey a metà del XIV secolo. L’indagine genetica condotta su campioni sindonici si conferma molto promettente. Gianni Barcaccia ha rilevato la cospicua presenza di Dna di origine indiana e mediorientale. In particolare è interessante l’aplogruppo H33, molto raro, perché si trova principalmente presso i Drusi, una minoranza etnica presente in Israele, Giordania, Libano e Siria. La possibile origine indiana della Sindone può essere confermata dal nome stesso, che può derivare da Sindia o Sindien, termini usati per indicare un tessuto proveniente dall’India.
È noto dagli studi di Ada Grossi che il pomeriggio dello Yom Kippur il Sommo Sacerdote si vestiva di pregiato lino indiano. Maria Luisa Rigato ritiene che per la sepoltura di Gesù fu usato uno dei preziosi lini disponibili nel Tempio di Gerusalemme. Il volto di Cristo ispirato alla Sindone è presente su numerose monete bizantine. Giulio Fanti ha dimostrato come numerosi dettagli, derivati dall’osservazione della reliquia, caratterizzino le monete bizantine a partire dal 692, anno in cui l’imperatore Giustiniano II per la prima volta fece rappresentare il volto di Cristo su tali monete. Con il tempo questa somiglianza si affievolì, ma si rinforzò di nuovo in concomitanza con l’arrivo della Sindone a Costantinopoli nel 944. Al congresso, Fanti ha anche presentato i risultati sperimentali di uno studio, condotto con Gianmaria Concheri e Sergio Rodella, su una statua appositamente realizzata, che dimostra come l’Uomo della Sindone fosse avvolto in modo stretto dalla Sindone; il lenzuolo non era semplicemente appoggiato sul cadavere come ipotizzato da alcuni in passato. Inoltre Fanti ha portato i risultati della datazione della Sindone condotta presso l’Università di Padova con un metodo meccanico e due metodi chimici (FT-IR e Raman). In base a questi esami, la Sindone risale all’epoca di Cristo. Da altri suoi studi sulle caratteristiche dell’immagine sindonica, risulta che deve essere stata formata da una radiazione direzionale ma complessa, come può essere una scarica elettrica che ha prodotto un effetto corona.
Il colore delle macchie di sangue, che si è mantenuto nei secoli più rosso di quanto ci si aspetterebbe, è stato discusso da Paolo Di Lazzaro che presentava un lavoro condotto in collaborazione con Antonio Di Lascio, Paola Iacomussi, Mauro Missori e Daniele Murra. Lo scopo del lavoro era quello di verificare le varie ipotesi formulate in passato. La più valida è risultata quella di Carlo Goldoni: la radiazione ultravioletta può cambiare la struttura della bilirubina; ciò rafforza il colore rosso delle macchie di sangue durante un lungo periodo. L’irradiazione con una lampada UV di macchie di sangue ricche di bilirubina ha generato una colorazione rosso-giallastra permanente a distanza di quattro anni. Di Lazzaro ha anche messo in guardia dalle illusioni ottiche create dalle elaborazioni di rafforzamento dell’immagine, che hanno portato alcuni a vedere tracce di monete, scritte, fiori e un’immagine del volto sul retro della Sindone, che in realtà non esistono. Infine ha fatto alcune puntualizzazioni in merito agli esperimenti condotti con il laser a eccimeri presso l’Enea di Frascati, che sono stati talvolta fraintesi da alcuni giornalisti e anche da altri scienziati: con una radiazione VUV (ultravioletto da vuoto) è stata ottenuta una colorazione simile a quella dell’immagine sindonica; questo non significa che l’immagine sindonica è stata generata da un flash di luce VUV, ma che non è impossibile che una radiazione VUV possa aver avuto un ruolo nella formazione dell’immagine.
A una intensa radiazione come causa della formazione dell’immagine, durante un processo di annichilazione materia-antimateria al momento della Resurrezione, Giuseppe Baldacchini ha affiancato, nella sua ipotesi, un flusso di neutroni che ha falsato il risultato della datazione radiocarbonica del 1988, collocando l’origine della Sindone nel Medioevo. Per quanto riguarda le cause della morte di Gesù, Pietro Pescetelli si è basato sulla sua esperienza di cardiologo per formulare l’ipotesi, ben fondata, che il grido finale sulla croce e l’uscita di sangue e siero dal fianco trafitto siano spiegabili con un infarto cui consegue la rottura del cuore e l’allagamento del pericardio. Tutti i lavori presentati al congresso hanno fornito nuove motivazioni storiche e scientifiche a conferma dell’autenticità della venerata reliquia.