Carlo Conti deve avere qualcosa da provare a qualcuno. Al festival di Sanremo del 2015 pagammo come famiglie italiane il supercachet da ospite straniero a tal Conchita Wurst, tizio poi sparito completamente dai radar e sfido chiunque a citarmi il titolo di una “sua” canzone. L’unico motivo per cui fu invitato fu il suo essere icona gender, uomo con la barba in abito da donna.
Il festival 2016 ci regalò l’accoppiata omo-etero di testimonial dell’utero in affitto: Elton John e Nicole Kidman furono i due superospiti stranieri che prosciugarono il budget, sempre gentilmente pagato dalle famiglie italiane, di un’edizione che passò alla storia per l’obbligatorio nastrino arcobaleno distribuito dai dirigenti Rai ai cantanti a sostegno della lobby lgbt, in pieno dibattito sulla legge sulle unioni gay (il 30 gennaio c’era stato il Family Day, pochi giorni dopo il festival, le famiglie pagavano, la lobby incassava e ringraziava).
Ora tra poco più di tre settimane si torna al teatro Ariston e il supercachet come famiglie italiane dobbiamo pagarlo a Tiziano Ferro che deve comprarsi un figlio da un’americana che lo partorirà, a Ricky Martin che se ne è già comprati un paio, a Mika che almeno nel suo one man show su Raidue candidamente ammetteva “sono omosessuale, non posso diventare padre” per essere subito rincuorato da un’Antonella Clerici nella parte del conduttore Rai che sa come va il mondo (“eh, ormai esistono tante tecniche”).
Carlo, diccelo, hai qualcosa da dover dimostrare a qualcuno? Esistesse una classifica degli acquirenti di bambini partoriti da altri, ne ha invitato a Sanremo tre dei top 5. Propagandare in Italia la pratica dell’utero in affitto, anche solo pubblicizzarla, è reato passibile di due anni di carcere e un milione di euro di multa. Caro Carlo, tienilo come promemoria.