La figura di Elon Musk, mente in perenne fibrillazione, è sospesa tra fascino e ambiguità. Il magnate ha molti meriti, a iniziare dal suo spassionato amore per la libertà di pensiero che lo ha reso inviso a gran parte del mondo liberal (impossibile dimenticare il tentativo di Biden, subito naufragato, di istituire il Disinformation Governance Board, un “Consiglio per il controllo della disinformazione” ufficialmente finalizzato a prevenire fake news ma unanimemente bollato come “Ministero della Verità”). Ma se rispetto a questi e altri editti dal sapore orwelliano lo slancio liberale (a volte libertario) di Musk è oggi un autentico toccasana, è vero anche che ridurre Musk a paladino della libertà d’espressione non sarebbe onesto.
«MANCANO SOLO SEI MESI»
L’industriale sudafricano è soprattutto un uomo che sfida tutto e tutti, che viaggia su Marte, che vuole letteralmente salvare il mondo, e a cui non fa difetto quella spavalda tracotanza che già nel mito e nell’etica greca, come hybris, è stata all’origine di tante sciagure umane. Neuralink, startup di neurotecnologie di proprietà Musk, dal 2016 sviluppa microchip che, impiantati nel cervello, consentirebbero di superare disabilità motorie, fino a far sì che un cieco possa riacquistare la vista. La notizia di questi giorni, ripresa da tutti i giornali, è la dichiarazione di Musk per cui mancherebbero «solo sei mesi all’inizio della sperimentazione sull’uomo», e che per quest’ennesima conquista si sta aspettando solo «il placet dalla Food and Drug Administration», l’ente governativo statunitense che regolamenta il campo medico.
Intervenuto mercoledì scorso all’evento Neuralink Show and tell, all’interno di una presentazione durata tre ore e al cospetto di ospiti selezionati, Musk ha pronunciato queste precise parole: «Anche se qualcuno fosse nato cieco, crediamo di potergli ripristinare la vista». Difficile non rimanere colpiti da un proclama di tal fatta, non foss’altro per il rimando al più noto precedente, quello del vangelo di Giovanni. Il “cieco nato”, rispondendo all’incalzare dei farisei, afferma: «Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla».
E IL PRINCIPIO DI RESPONSABILITÁ?
Ora, se per il mainstream la questione Musk-Messia può tranquillamente rimanere nel comodo alveo del divertissement, la faccenda rimane assai spinosa: la tecnologia applicata all’uomo, in un dibattito appena onesto, non può non tener conto del fatto che, per risolvere un problema, un microchip piantato nel cervello è in grado di generarne altri cento, al momento neanche immaginabili. I giornali hanno commentato l’annuncio di Elon Musk con quell’impressionante ingenuità incapace di staccare il dibattito da terra di un millimetro («Se i risultati saranno poi come quelli dell’indistruttibilità della Tesla testimoniati nell’epic fail di un video che fece il giro del mondo siamo a posto. Incrociamo le dita», così, ad esempio, il Fatto Quotidiano). La questione, invece, è quella del rapporto tra progresso tecnologico e progresso morale, mai come oggi procedenti a due velocità.
Un rapporto che auspicherebbe l’interrogarsi sulle conseguenze, prima di affidarsi incondizionatamente a tecnologie così invasive; in ossequio, almeno, a quel “Principio di Responsabilità” caro al filosofo Hans Jonas. Tutti temi, questi e altri, che nel dibattito pubblico non si portano più, per quanto già Benedetto Croce ragionasse sul simbolo di quell’uso distorto della tecnologia che era stata la bomba atomica sganciata su Hiroshima (prima di lui Salvatore Quasimodo aveva stigmatizzato «la tua scienza esatta persuasa allo sterminio»). Oggi l’entusiasmo vince di gran lunga su ogni tentativo di riflessione («Vedo la foto di Elon Musk, uno dei principali geni innovativi. E mi piacerebbe che potesse lavorare di più con l’Italia, per l’Italia, e in Italia», parole di un Matteo Salvini “innamorato”).
MICROCHIP: AVEVANO RAGIONE I “COMPLOTISTI”
C’è poi un altro dato su cui meditare, quello relativo a come è stata trattata dai media, almeno fino ad oggi, la conquista prospettata da Musk. Fino a qualche anno fa, infatti, l’argomento microchip era evitato con particolare cura: chi ne parlava era liquidato come un visionario, un complottista, oggetto dell’indagine occhiuta e sprezzante dei debunkers, veri professionisti dell’informazione. I chip da impiantare sull’uomo erano insomma una bufala da terrapiattisti, e non esisteva nessun piano per spingere i cittadini a farseli impiantare. Oggi, improvvisamente, la musica è cambiata. La presenza di decine di società che lavorano allo scopo non è più confutabile, per cui il problema è diventato solo quello dell’attendibilità di certi annunci. Repubblica (1 dicembre) lo spiega benissimo: «Quando il magnate sostiene che un chip grande come una moneta impiantato nel cranio permetterà di sfidare malattie degenerative come Parkinson e Alzheimer, nessuno sa quanto ci sia del lucido visionario o dell’imbonitore». Traduzione: il microchip è vero, non è affatto una bufala, solo che non sappiamo se – quando sarà impiantato nel cervello umano (speriamo presto) – i risultati saranno quelli sperati dal riccone americano.
VERSO L’IBRIDO UOMO-MACCHINA
In mezzo a tutto ciò – al di là del significativo (e un po’ indecente) “salto informativo”– ci sono temi così carichi di senso che per certa stampa è meglio fingere di non vedere. Con gli impianti fortissimamente voluti da Musk e dai suoi accoliti siamo infatti nel pieno campo del post-umanesimo, argomento di cui si occupa da anni, quasi in solitudine, la scrittrice Enrica Perucchietti. «È un territorio vergine», ammette la bioeticista autrice di Cyberuomo. Dall’intelligenza artificiale all’ibrido uomo-macchina (Arianna Editrice), «in cui a furia di annullare l’identità umana, i suoi limiti, il confine tra l’uomo e le macchine, ci si incammina verso uno scenario distopico, pericoloso, poiché ad oggi la scienza non è minimamente in grado di immaginare e ponderare le conseguenze di applicazioni atte a sconvolgere il nostro paradigma antropologico». Il mantra del progresso, per la scrittrice, verrebbe utilizzato «come bandiera per legittimare qualsiasi tipo di sperimentazione»: dalla creazioni di uteri artificiali («con cui si promette alla donna di non soffrire più e di non perdere nove mesi di vita»), alla clonazione, fino all’editing genetico. Tutti temi su cui oggi si corre alla velocità della luce.
«SIAMO GIÁ DEI CYBORG, MA TROPPO POCO»
È ancora Enrica Perucchietti ad affermare che «basta conoscere Musk per capire che la sua vera missione è ibridare l’essere umano con l’Intelligenza Artificiale, indipendentemente dalle sue patologie, non a caso cyborg è un termine che lui utilizza spessissimo». In effetti Elon Musk non ha mai fatto mistero delle sue mire; i media invece, per giustificare le faustiane applicazioni di startup come Neuralink (ed essendo forse segretamente innamorati del progetto), si limitano a sottolineare i potenziali benefici per disabili o malati di Parkinson. Ogni riferimento al mind uploading, vero core business di Neuralink e di altre società simili (il collegamento alle macchine della mente umana, al fine di caricare o scaricare informazioni) è assolutamente censurato.
Peccato però che stia esattamente in questa ibridazione il meccanismo alla base del chip che Musk dichiara essere ormai pronto. E peccato che già nel 2018, ospite della trasmissione di Joe Rogan, il tycoon spiegava candidamente quanto il collegamento tra il nostro cervello e la tecnologia fosse ancora troppo lento, malgrado il lavoro fatto dagli smartphone: «Il tuo smartphone è già una tua estensione. Molte persone non si rendono conto di essere già dei cyborg. Ma la condivisione dei dati è lenta, molto lenta. È come un sottile flusso di informazioni tra la versione biologica e quella digitale di te stesso. Dobbiamo trasformare quel piccolo flusso in un enorme fiume». Difficile essere più chiari.
EUGENETICA SOFT
In realtà, tra frizzi e lazzi, siamo arrivati ad una forma sottile di eugenetica, certamente più sofisticata di quella nazista, con il pregio di non essere riconosciuta. Il fine è sempre quello: annullare ogni imperfezione, ogni limite e arrivare al super uomo. Costi quel che costi. Tutto ciò mentre si continua a “mancare” clamorosamente l’iconica figura del messia-Musk: se da un lato i liberal vorrebbero fermarlo perché terrorizzati dalla libera circolazione delle idee, oppure semplicemente perché il magnate ha riammesso l’account twitter di Trump (il quale, tra l’altro, per ora resiste al cinguettìo), sono moltissimi i conservatori che continuano a flirtare ingenuamente con chi, in programmi squadernati alla luce del sole, vuole modificare l’essere umano per come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi, cancellandone la grammatica naturale. «Maledetto l’uomo che confida nell’uomo», le parole del profeta Geremia parlano anche di questi strani tempi. (Foto: screenshot Biography Timeline, YouTube)
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