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Elisabetta II, l’ultima regina amata come simbolo
NEWS 9 Settembre 2022    di Giuliano Guzzo

Elisabetta II, l’ultima regina amata come simbolo

Lei era la monarchia, e la monarchia era lei. Impossibile pensare alla corona, non solo inglese, senza pensare ad Elisabetta II, ma impossibile pure pensare alla sovrana morta ieri pomeriggio senza, in automatico, immaginarsela nelle sue funzioni, com’è stato fino all’ultimo, quando ha dato l’incarico di primo ministro a Liz Truss. Questo è: il lutto globale di queste ore – o comunque quello di larga parte del mondo occidentale – più che un giudizio effettivo sull’operato della sovrana rimasta sul trono 70 anni, ha a che vedere con un caso d’identificazione perenne tra persona e ruolo; di più: tra donna delle istituzioni e Paese, un esempio di «leadership cristiana», ha detto mons. Hugh Gilbert, capo dei vescovi scozzesi.

Questo invece il commento di Edward Pentin, vaticanista del National Catholic Register: «Non tutti i monarchi sono così festeggiati e venerati. Ciò che ha reso la regina Elisabetta così speciale è stato che ha colto il pieno peso spirituale e la responsabilità del suo ufficio e ha cercato di eseguirlo tenendo presente questo. La sua ferma testimonianza di fede in Gesù Cristo e la sua ferma speranza nelle sue promesse – come ha giustamente messo papa Francesco nel suo tributo a lei questa sera – erano centrali in tutto ciò che era e in tutto ciò che ha fatto. E questo l’ha resa un pilastro di stabilità in un mondo in continua evoluzione»

In effetti, a maggior ragione in un’epoca in cui la rappresentanza istituzionale soffre un deficit di credibilità – con il solco tra palazzo e cittadini -, Elisabetta II costituiva un’eccezione: il suo popolo l’amava come una certezza. Come una donna che aveva servito la patria già da ragazza, come militare durante la Seconda Guerra Mondiale, e che ancora molto giovane – a 26 anni – era stata chiamata ad essere regina, e non ha mai pensato di abdicare. Si era dunque imposta come un riferimento ben oltre i confini di Buckingham Palace, e tutto ciò, lo si ripete, conoscendo ben cinque papi, decine di politici, generazioni di sportivi, artisti, sudditi.

Da questo punto di vista, un’altra ragione per cui tanti si sentono legati alla sovrana scomparsa, a prescindere pure dal fatto che siano o meno inglesi, è che non avevano mai vissuto, fino a ieri, un giorno della loro vita senza saperla sul trono; senza considerarla, come di fatto era, l’ultima grande cerniera tra il presente e il passato, tra il 2022 e il Novecento, che da sovrana aveva vissuto quasi integralmente da protagonista. Ciò chiaramente non toglie come il suo regno non sia da considerarsi, sotto un profilo morale, in chiave positiva (si pensi a come, da regina, Elisabetta non abbia mosso un dito per Alfie, Charlie e tutti i bambini eliminati nei suoi ospedali «per il loro miglior interesse…»).

Tuttavia, anche una bocciatura integrale di 70 anni di regno, onestamente, sarebbe un esercizio di sentenziosità assai difficile da sottoscrivere. Anche perché, oltre al senso delle istituzioni, che di certo ha incarnato con rigore e stile – e in aggiunta al suo essere stata donna di vero potere senza mai prestare il fianco ai tormentoni della cultura liberal -, c’è un altro aspetto, forse poco rilevato in queste ore, che fa di Elisabetta II una sovrana longeva, certo, ma alla fine un essere umano esattamente come gli altri; e non è solo il suo essere passata all’altro mondo, no. Si tratta del suo declino, iniziato secondo più osservatori per un motivo ben preciso.

Questo motivo è la morte, avvenuta nel giugno dello scorso anno, di Filippo di Edimburgo. Da allora, a corte, il clima non è più tornato ad essere quello di prima. E per quanto attorniata da abbondanza di sudditi, servitù, nipoti e figli, la regina rimasta sul trono per 70 anni e morta a 96, ha saputo affrontarne appena uno e mezzo senza l’uomo che aveva amato.

Ora, non è forse questa la prova più lampante del fatto che la natura umana non solo esiste, ma si somiglia meravigliosamente nella misura in cui è l’amore a definire ciò che siamo e che tutto il potere che si può immaginare, senza qualcuno che ci sostenga, è alla fine «pula che il vento disperde»? Detto questo, l’antico augurio – ora che il discorso è d’anime, e perciò non meno ma, anzi, ancora più importante – resta senza dubbio attuale, e non c’è motivo per non condividerlo: God save the Queen. (foto: fonte)

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