Ci dispiace ripeterlo, ma repetita iuvant dicevano saggiamente i latini. È inutile fare la voce del leone (da tastiera) e baloccarsi di future pose che il vincitore delle prossime elezioni italiane dovrà prendere, per esempio su politiche sanitarie, oppure su quale percentuale tassare i redditi, o addirittura mettersi a vagheggiare di rivoluzioni o uscite alternative per l’Italia. Chiunque vinca dovrà mettersi a cuccia e il motivo è molto semplice: il portafoglio.
Ci sono tante cose condivisibili in chi filosofeggia sui temi accennati sopra, ma senza soldi si fanno chiacchiere, buone forse per la campagna elettorale, ma appunto chiacchiere. Flatus vocis. A meno che, ma questa è un’altra questione, non si voglia appunto mettere mano a rivoluzioni, anche nella variante della restaurazione, o anarchie. Il guinzaglio della Bce, da cui, piaccia o non piaccia, dipendiamo pesantemente per mettere mano alle nostre politiche economiche, è cortissimo per un paese ad alto indebitamento come il nostro.
Lo abbiamo già scritto e appunto lo ribadiamo, aggiungendo che anche il TPI–Transmission Protection Instrument, il nuovo bazooka della Bce varato per acquisti di dimensioni illimitate di obbligazioni dei Paesi dell’Eurozona, in realtà viene attivato a condizione che i Paesi rispettino gli impegni in termini di politiche di bilancio ai fini della sostenibilità del debito pubblico e di effettiva attuazione dei programmi del PNRR. In altre parole, il futuro governo italiano, qualunque, dovrà fare i compiti a casa e farli bene, se non vuole vedersi sprofondare economicamente. Perché non esiste nessuna certezza sulla quantità di titoli italiani che la Bce deciderà di acquistare, o non acquistare, nei prossimi mesi.
Altro fattore esterno che incide sul portafoglio del prossimo governo lo ha messo in campo direttamente il governo di Mario Draghi in questi giorni. Con il Dl aiuti bis mister Bce ha praticamente utilizzato tutte le risorse a disposizione per mettere soldi in mano agli italiani, in particolare ai redditi inferiori ai 35000 euro, con la speranza di dare un calcio ai consumi di fronte a un autunno che si prospetta caldissimo: prezzi dell’energia, inflazione e recessione mondiale. Draghi ha raschiato il barile e al prossimo governo restano poche briciole su cui agire con la Legge di bilancio che avrà l’onere di dover varare.
Con l’aggiunta che il governo Draghi, prima di togliere il disturbo, dovrà anche rivedere la stima sul Pil per il 2023 che, a differenza di un ottimistico + 2,3% previsto nel Def, sarà, se va bene, intorno all’1%. Con il corollario che dovrà essere rivisto anche il rapporto deficit/Pil, ovviamente al rialzo, con conseguenze inevitabili sul mercato e… sul prossimo governo, il quale, con il Dl aiuti e queste revisioni, si trova di fatto con una Legge di bilancio in gran parte già scritta da Mario Draghi.
Non dimentichiamo, infine, che il Pnrr vincola il prossimo governo negli investimenti e conseguenti spese. Peraltro, le condizionalità di questo strumento che arriva da Bruxelles sono chiare, si spende in un certo modo e si rispettano quelle regole. Al di fuori di questo quadro ineludibile restano solo chiacchiere, piacevoli per la polemichetta quotidiana o per solleticare i tifosi. Ci potranno essere promesse e proclami di riduzione tasse, mancette, aumento pensioni, rivoluzioni e restaurazioni, risalite e discese ardite, ma qualunque governo uscirà dalle urne se sgarrerà, pagherà.
Anche le scelte in politica estera non saranno indifferenti, come quelle sull’agenda dei cosiddetti diritti. Superando una certa sottile linea rossa saranno ancora larghe intese. I margini di manovra sono risicatissimi per l’Italia, il nuovo Governo non avrà neanche il tempo necessario per impostare una politica di bilancio, dei redditi, economica, che non si confronti con questa realtà che pesa come un macigno. Qualunque sia, il nuovo governo nasce quasi senza portafoglio.
Potrebbe interessarti anche