Alle ore 15 dell’11 dicembre ’41, dal balcone di Palazzo Venezia, con un discorso di pochissimi minuti, Mussolini dichiarò guerra agli USA. «Le potenze del Patto di acciaio, l’Italia fascista e la Germania nazionalsocialista, sempre più strettamente unite, scendono oggi a lato dell’eroico Giappone contro gli Stati Uniti d’America», così il Duce. Quattro giorni prima, il 7 dicembre, le forze aeronavali giapponesi avevano attaccato la flotta Usa, a Pearl Harbor, Hawaii, aprendo il conflitto con Washington nel Pacifico. Come ha scritto Gianni Riotta su La Stampa, il presidente Roosevelt, che da tempo sperava di battersi contro la Germania, «non riusciva a persuadere il riottoso Congresso, popolato da senatori democratici del Sud, isolazionisti, a votare le ostilità contro Berlino e Roma, riuscendo solo a combattere contro il Giappone imperiale». È stata, dunque, solo e soltanto la scelta di Hitler e Mussolini, a suggellare – esattamente ottanta anni fa – il destino finale di una guerra che ha causato disastri inauditi e mietuto milioni di vittime, riuscendo a far uscire sconfitta l’umanità stessa. «Nulla è perduto con la pace; tutto può essere perduto con la guerra!», preconizzava Pio XII nello storico (e inascoltato) radiomessaggio dell’agosto 1939. Così è stato.
Eppure, l’11 dicembre del ’41, Mussolini mostrava ancora entusiasmo nel trascinare l’Italia contro l’ennesimo ultimo nemico. «È questa un’altra giornata di decisioni solenni nella storia d’Italia e di memorabili eventi destinati ad imprimere un nuovo corso nella storia dei continenti. Il tripartito diventa un’alleanza militare che schiera attorno alle sue bandiere 250 milioni di uomini risoluti a tutto pur di vincere!». E ancora, riferendosi alla sconfitta americana di Pearl Harbor: «I formidabili colpi che sulle immense distese del Pacifico sono già stati inferti alle forze americane mostrano di quale tempra siano i soldati del Sole Levante. Io dico, e voi lo sentite, che è un privilegio combattere con loro. Oggi il tripartito […] è uno strumento poderoso per la guerra e il garante sicuro della vittoria; sarà domani l’artefice e l’organizzatore della giusta pace tra i popoli». Per concludere con trasudante e triste retorica: «Italiani e italiane, ancora una volta in piedi siate degni di questa grande ora. Vinceremo!». Peccato che pochi giorni dopo, un incerto Mussolini chiese al giornalista e scrittore Giovanni Ansaldo cosa pensasse del suo intervento: «Gli ho chiesto – raccontò Ansaldo – se avesse mai veduto l’elenco telefonico di New York. E lui non m’ha saputo rispondere, ha solo scrollato le spalle». In effetti, le ragioni della disfatta sono tutte da ricercare nell’assoluta disparità di forze rispetto all’esercito USA, disparità efficacemente sottolineata dai pochi numeri riassunti da Paolo Rastelli e Antonio Carioti sul loro nuovo libro (La guerra di Mussolini. La disfatta dell’Italia fascista, Solferino, 2021): «Allo scoppio della guerra avevamo il 2,7 per cento della capacità produttiva mondiale, il Giappone il 3,5, la Germania il 10,7, per un totale del 16,4 per cento. La coalizione avversaria, dopo l’entrata in guerra degli Stati Uniti, ne deteneva circa il 70 per cento».
Eppure, in questo scellerato disegno di guerra, Dio continuava ad avere per l’Italia piani di misericordia, se è vero che mandò a Mussolini suor Elena Aiello come sua “ambasciatrice di pace”. Il 23 aprile 1940, infatti, la suora calabrese (che sarà beatificata nel 2011 da Benedetto XVI) consegnò alla sorella del Duce, Donna Edvige, una lettera sconvolgente fin dalla sua premessa: «Io non volevo scrivere, ma ieri, 22, il Signore mi è apparso di nuovo imponendomi di farvi sapere quanto segue..». Questo il passaggio-chiave della missiva letta da Mussolini pochi giorni dopo: «All’Italia, perché sede del mio Vicario, ho mandato Benito Mussolini, per salvarla dall’abisso verso il quale si era avviata, altrimenti sarebbe arrivata in condizioni peggiori della Russia. In tanti pericoli l’ho sempre salvato; adesso deve mantenere l’Italia fuori della guerra, perché l’Italia è civile ed è la sede del mio Vicario in terra. Se farà questo avrà favori straordinari e farò inchinare ogni altra Nazione al suo cospetto. Egli invece ha deciso di dichiarare la guerra, ma sappia che se non la impedirà, sarà punito dalla mia Giustizia!». L’importanza che, nella storiografia ufficiale, ha la missiva inviata a Mussolini dalla beata Elena Aiello, è inversamente proporzionale al suo peso specifico. Tanto più che la suora chiudeva la lettera con un suo de-centramento dai toni assolutamente autentici: «Tutto questo mi ha detto il Signore. Non crediate, o Duce, che io mi occupi di politica. Io sono una povera Suora dedicata all’educazione di Piccole abbandonate e prego tanto per la vostra salvezza e per la salvezza della nostra Patria».
Un’eco di queste parole le ritroviamo in una successiva e non meno stupefacente missiva inviata da suor Elena Aiello a Donna Edvige. La lettera, scritta esattamente tre anni dopo la prima, è datata 15 Maggio 1943. Questa volta la beata calabrese scrive: « Ah!… se il Duce avesse dato ascolto alle parole di Gesú, l’Italia non si sarebbe trovata ora in cosí triste condizione! Ora vi ripeto le stesse parole: se il Duce non salverà l’Italia rimettendosi a quanto dirà e farà il Santo Padre, presto cadrà; anche Bruno, dal cielo, chiede al padre la salvezza dell’Italia e di lui stesso». Bruno era l’amatissimo terzogenito di Mussolini, morto nell’agosto del ’41, a soli ventitrè anni, mentre era in ricognizione col suo bombardiere quadrimotore sui cieli di Pisa. La missiva della beata Aiello si concludeva così: «Cara Donna Edvige, riflettete bene come tutto ciò che ha detto il Signore si sia perfettamente avverato. Chi è che ha causato tanta rovina all’Italia? Non è stato forse il Duce per non avere ascoltato le parole di nostro Signore Gesú Cristo? Ora potrà ancora rimediare facendo quanto vuole il Signore. Io non mancherò di pregare».
Mussolini ancora una volta non fece nulla: nessuna ammissione di colpa, nessun rinsavimento. La sua chiusura radicale al sacro è testimoniata anche dallo storico Francesco Agnoli, che al tema ha dedicato un libro, Dio non esiste. Le radici atee e materialiste del fascismo (Fede & Cultura, 2019). Intervistato dal Timone, Agnoli ha ribadito che «il Duce è stato sempre, per tutta la sua vita, un ateo, un materialista, un panteista», un uomo «sempre chiuso al Soprannaturale», essendosi «formato sui testi dei socialisti atei e materialisti».
Le due lettere scritte con amore e passione dalla suora calabrese oggi beata, insieme alle considerazioni dello storico trentino, raccontano plasticamente quanta sofferenza, patimenti e sangue possa costare ad un Paese la scellerata e pervicace scelta di non ascoltare il Cielo. In questa storia c’è però anche un monito per il presente, «perché – scriveva Paul Valéry – non solo la storia si ripete sempre, ma il prezzo sale ogni volta». Per un credente, allora, la domanda non può non essere questa: tra chi ci governa, quanti prestano attenzione e ascolto alle “lettere” sulla guerra (non solo del cuore) che da oltre quarant’anni, da quell’angolo di terra che è Medjugorie, ci consegna la vera messaggera di Dio, la Madonna? «Satana Regna e desidera distruggere le vostre vite e il pianeta sul quale camminate», ma il mondo sembra essere sordo ad ogni richiamo.
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